Esiste davvero una “sindrome post Covid-19”? E come si manifesta?

Secondo i dati aggiornati, l’infezione da Sars-CoV-2 ha colpito nel nostro paese circa 1,5 milioni di persone, dall’inizio della pandemia ad oggi. I pazienti guariti superano i 600.000: si tratta, naturalmente, di una popolazione varia per sesso, età e molteplici altri fattori, come la presenza di patologie pregresse e, soprattutto, la gravità dei sintomi con cui il Coronavirus si è manifestato. Da molti studi condotti in tutto il mondo, è già emerso, inoltre, che le conseguenze del Covid-19 potrebbero perdurare nel tempo. In che forma e quanto a lungo? Per approfondire l’argomento e fare il punto su quello che oggi sappiamo degli strascichi che questa malattia può avere sulla salute, abbiamo intervistato il dottor Alessandro Zanasi, pneumologo, esperto di malattie respiratorie e direttore del Centro per lo studio e la cura della tosse SISMER di Bologna, e il dottor Giuseppe Di Pasquale, cardiologo ed ex presidente dei Cardiologi Ospedalieri.

Che cos’è la ‘sindrome post-Covid-19’

“In questi mesi abbiamo scoperto che Covid 19 è una malattia che lascia segni importanti – afferma lo pneumologo Alessandro Zanasi. – Si parla di ‘sindrome post-Covid-19’, riferendosi alla persistenza di sintomi più o meno debilitanti anche dopo la fase acuta della malattia e la negativizzazione dei test virologici. I dati dei primi follow up rilevano come i sintomi maggiormente riscontrati dopo l’infezione siano tre:

  • un senso profondo di stanchezza, affanno
  • difficoltà a respirare profondamente
  • dolori alle ossa e ai muscoli al livello del torace”.
conseguenze covid

Malik Evren/gettyimages.it

Gli effetti a lungo termine sulla salute si possono manifestare non solo nei soggetti che hanno avuto la malattia in forma grave. Inoltre, gli studi effettuati rivelano che “circa il 30% dei pazienti Covid positivi presenta postumi anche a distanza di mesi: oltre a stanchezza, difficoltà respiratorie, problemi cardiaci e di memorizzazione, possono svilupparsi sintomi nuovi, cioè mai manifestati prima e durante la malattia, come labilità emotiva, disturbi dell’umore, ansia e insonnia.

Tuttavia, parlare ora di effetti a lungo termine è difficile, poiché dovranno essere effettuati molti altri studi. Resta da capire, infatti – precisa Zanasi – se si tratta di complicazioni che nel tempo trovano una soluzione o se al contrario tendano a cronicizzare. Con ogni probabilità ci troveremo di fronte a entrambe le situazioni. Sei mesi sono pochi per la risoluzione di un problema che non conosciamo fino in fondo, stiamo analizzando i dati che finora la letteratura ci mette a disposizione, ma occorre altro tempo per capire bene quali siano le dinamiche”.

Danni e conseguenze a livello polmonare

Come ormai sappiamo, i danni più gravi causati dal virus del Covid-19 sono quelli ai polmoni. Qualche tempo fa, avevamo intervistato il prof. Vito Marco Ranieri dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, proprio per parlare dei risultati di un importante studio sull’argomento, che evidenziava come sia agli alveoli che i capillari polmonari potessero subire danni durante l’infezione da Sars-CoV-2. Sebbene non sempre si manifestino entrambe le problematiche, il recupero della funzionalità degli organi, dopo la guarigione, richiede del tempo e, soprattutto, potrebbe non essere completo.

Nel tessuto colpito dal virus, infatti, può svilupparsi la fibrosi, ovvero un irrigidimento che porta a una conseguente riduzione della capacità di scambio gassoso. È quindi necessario monitorare i pazienti che superano la polmonite interstiziale bilaterale per comprendere le dinamiche del Covid-19 e le eventuali conseguenze a lungo termine sulla vita di chi lo ha contratto. Si tratta, purtroppo, di un processo osservato già nel caso della Sars: molti pazienti, anche di giovane età, infatti, mostravano i segni di una fibrosi polmonare – delle “cicatrici” su questi organi – che determina una compromissione della funzionalità respiratoria.

danni polmonari covid

Chinnapong/gettyimages.it

Covid-19: le conseguenze a livello cardiaco

Il coronavirus non determina danni solo a livello polmonare, ma anche cardiaco. Il cuore è l’organo immediatamente più esposto dopo i polmoni, precisa Giuseppe Di Pasquale, ex presidente dei Cardiologi ospedalieri: “si parla di danni al muscolo cardiaco, infiammazione (miocardite), scompenso cardiaco dovuto al sangue meno ossigenato, aritmie, rischio di infarto, che non è solo tipico del Covid ma anche di influenza e polmoniti.

I virus, all’interno delle coronarie, possono determinare la rottura di eventuali placche di colesterolo che formano quindi dei trombi. Ci sono poi delle alterazioni della coagulazione che possono portare alla trombosi venosa profonda, all’embolia polmonare e all’infarto miocardico. “I danni – precisa il cardiologo, si possono verificare in tutti i pazienti. Nella maggioranza dei ricoverati viene fatto un prelievo di sangue per dosare la troponina, che si libera nel sangue quando c’è un danno al muscolo cardiaco: è stato visto che in molti malati il suo livello è piuttosto alto, e a una percentuale maggiore di proteina corrisponde una prognosi più grave”.

L’intervistato ricorda inoltre che alcuni studi hanno individuato delle cicatrici sul muscolo cardiaco in soggetti guariti dal Covid, ma attualmente “non sappiamo ancora, se questo possa provocare danni sulla lunga distanza. Possiamo dire con certezza che sui pazienti cardiopatici sopravvissuti al virus ci vorrà una sorveglianza maggiore anche dopo la guarigione, poiché presentano comunque un deficit della funzione respiratoria, se hanno sviluppato la polmonite”.

Il Covid-19 nei pazienti con problemi cardiaci

È opportuno ricordare che i cardiopatici non hanno maggiore rischio di contrarre l’infezione. Se ciò avviene, però, la malattia può svilupparsi in una forma più severa. “Tra quelli che sviluppano una forma grave di polmonite interstiziale, per motivi ancora sconosciuti, una percentuale alta ha malattie cardiovascolari, in particolare scompenso cardiaco, cardiomiopatie, con cardiopatie congenite complesse o ha subito un trapianto di cuore e quindi segue la terapia immunosoppressiva”, continua l’intervistato. Non corrono rischi particolari, invece, le persone con fibrillazione atriale, valvulopatia, o che sono portatrici di pacemaker e defibrillatori.

danni cuore covid

FG Trade/gettyimages.it

I rischi legati all’obesità

“Il coronavirus può danneggiare anche il cuore, in particolare attraverso la risposta infiammatoria del corpo, e un’altra situazione di rischio elevato è l’obesità. Ci sono moltissimi studi sulla prevalenza di pazienti obesi tra quelli con forme gravi di Covid e ciò non ha a che vedere con l’età del paziente. Si parla di persone con IMC (indice di massa corporea) superiore a 30 o 35, che sono inoltre difficili da trattare sia con la ventilazione invasiva che non invasiva, perché hanno già una compromissione a livello polmonare”.

Le interazioni farmacologiche

Se un soggetto cardiopatico viene ricoverato per Covid, aggiunge l’intervistato, bisogna considerare le interazioni farmacologiche con le terapie cardiovascolari, che chiaramente sono note a livello medico, c’è però bisogno che la persona collabori e porti con sé l’elenco dei farmaci che sta assumendo. “Questi pazienti devono poi ricevere una sorveglianza maggiore, soprattutto se sono anziani, ma non è detto che evolvano nella forma grave, che si verifica comunque solo in una percentuale minima”.

farmaci e covid

Ozge Emir/gettyimages.it

Coronavirus e ipertensione

Fin dagli studi iniziali effettuati a Wuhan, continua Di Pasquale, tra i pazienti con Coronavirus c’era un’alta percentuale di ipertesi, ma sono dati da prendere con cautela, perché soprattutto nella popolazione anziana l’ipertensione è molto comune. “Il rischio di contagio non è più alto per i pazienti sottoposti ad alcune terapie per questa patologia: uno studio sugli animali suggeriva delle interazioni del virus con alcuni farmaci, ma non è stato confermato sull’uomo, per questo la raccomandazione è di continuare a seguire la terapia e ci sono addirittura delle evidenze che questi farmaci avrebbero un effetto protettivo dal Covid”.

Cardiopatici e Covid-19: alcune raccomandazioni

La prima raccomandazione è di sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale e per i soggetti più anziani anche a quella anti pneumococcica, sebbene ovviamente nessuna delle due protegga dal rischio di contrarre il Covid-19. Per i cardiopatici, ricorda Di Pasquale, valgono gli stessi consigli, con qualche misura ulteriore a livello di riduzione di contatti. “È inoltre molto importante non ‘lasciarsi andare’ con l’alimentazione e tenere sotto controllo il peso, cercando di fare anche attività fisica, per non peggiorare i fattori di rischio cardiovascolare.

C’è poi da fare un’altra considerazione: nei mesi scorsi, in Italia c’è stata una riduzione tra il 30 e il 40% dei ricoveri per infarto. Questo non vuol dire che gli infarti siano diminuiti, ma che molte persone non si sono recate in ospedale o non lo hanno fatto in tempo. Se un paziente ha i sintomi di un attacco cardiaco, occorre chiamare il 118 subito”.

Abbiamo visto, quindi, come le conseguenze a lungo termine del Covid-19 siano ancora sotto osservazione: non è ancora possibile determinare se i pazienti guariti recupereranno del tutto la funzionalità degli organi maggiormente colpiti dal virus e in che modalità rispetto a fattori come l’età, le patologie pregresse, il tipo di danno riportato dall’organo e la gravità dell’infezione contratta. Le ricerche sono in corso e nuovi studi vengono effettuati dagli scienziati di tutto il mondo, ma per avere delle risposte certe sarà necessario molto tempo.

 

Per approfondire l’argomento Covid-19, sul nostro blog trovate una rubrica dedicata. Ecco alcuni dei contenuti più recenti:

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