coronavirus test sierologici

I test sierologici possono aiutarci a ridurre il contagio?

In previsione della Fase 2, che vedrà la riapertura di alcune attività e una graduale ripresa degli spostamenti, è prevista una campagna di screening della popolazione italiana: a partire dal 4 maggio verrà condotta attraverso test sierologici per il SARS-CoV-2, coinvolgendo un campione di 150.000 italiani. 

Abbiamo chiesto al dottor Fausto Francia, epidemiologo, Direttore sanitario del Centro Diagnostico Chirurgico Dyadea e Membro del Comitato Scientifico di UniSalute, di spiegarci come funzionano questi test e come saranno utilizzati i risultati.

I test sierologici sono affidabili?

Test sierologico Covid

 

Come sappiamo, per individuare le persone contagiate dal Coronavirus occorre effettuare un tampone, ovvero un esame diagnostico che individua la presenza del virus nel materiale biologico prelevato da naso e gola. Un risultato positivo indica che c’è un’infezione in corso e che il paziente è in una fase in cui è altamente contagioso. 

Per effettuare test sierologici, invece, occorre un prelievo di sangue, nel quale verrà ricercata la presenza di specifici anticorpi. L’affidabilità di questi test è ancora un punto interrogativo: perché sia attendibile infatti, il test non deve dare né dei falsi positivi, né dei falsi negativi. Bisogna essere sicuri che non individui degli anticorpi in un organismo in cui invece non ci sono, per evitare il rischio che un soggetto, “sulla carta”, risulti protetto dal virus pur non essendolo realmente, perché non è mai venuto a contatto con esso. Il test deve inoltre essere sempre in grado di trovare gli anticorpi laddove sono presenti, altrimenti si incorrerebbe nel problema contrario: avremmo di fronte un soggetto che crediamo esposto, quando invece potrebbe essere protetto”. 

A cosa servono i test sierologici?

Fatta questa premessa, qual è il significato della ricerca anticorpale? “Prima di tutto serve per avere un quadro della diffusione del virus – continua l’intervistato. – Dovremmo riuscire, in un tempo breve, a testare un certo numero di persone significative per una popolazione, sia in termini numerici che in termini stratificati. Cosa significa? Posto che io voglia esaminare un campione della popolazione di Bologna, per esempio 1000 persone, non posso scegliere degli individui a caso, ma devo selezionarli in proporzione statistica. Se in città c’è un 30% di over 65, dovrà esserci anche nel campione, ovviamente ripartito tra uomini e donne. 

Effettuando il test, possiamo sapere quante sono le persone paucisintomatiche (cioè con pochi sintomi) o asintomatiche, che hanno sviluppato la malattia: ad oggi infatti i tamponi sono stati fatti quasi esclusivamente ai sintomatici, quindi ignoriamo il numero di persone che ha contratto il virus manifestando, magari, solo qualche sintomo, e dei soggetti che avevano febbre o tosse dovuta all’influenza. Gli anticorpi ci danno un quadro più ampio della situazione, rispetto ai tamponi, perché ci permettono di individuare tutti i soggetti che sono entrati a contatto con il virus, non soltanto chi è malato nel momento in cui effettua il tampone”.

Attraverso i test sierologici, quindi, si può effettuare uno screening e monitoraggio della popolazione che andrebbe ripetuto nel tempo, anche se, come spiega Francia, questo non è possibile per tutti. “Potrebbe essere effettuato con frequenza sul personale sanitario e su tutti quelli che per lavoro sono più esposti al contagio, come farmacisti e forze dell’ordine, per esempio”. 

Che informazioni forniscono i test sierologici?

L’epidemiologo sottolinea che ci sono tre interrogativi ai quali lo studio dei test sierologici fornirà una risposta, sulla lunga distanza. “Nel caso del Coronavirus, che ancora conosciamo poco, sarà prima di tutto importante capire quale sia la durata degli anticorpi. Malattie come il morbillo, per esempio, si prendono una sola volta nella vita, mentre l’influenza si può prendere più volte. In quale casistica ricade il Coronavirus? 

Teste sierologici anticorpi

Moussa81/gettyimages.it

Un altro interrogativo riguarda l’efficacia degli anticorpi: quanti se ne producono, dopo essere entrati in contatto con il virus? E se il virus mutasse, continuerebbero a essere efficaci? Ammettendo invece che il virus non muti, gli anticorpi saranno sempre efficaci? Saranno presenti per tutta la vita e il loro livello sarà abbastanza elevato anche dopo molti anni, o sarà necessario un richiamo vaccinale per garantire la copertura? I problemi sono tanti e per ora non ci sono delle risposte”. 

Un aspetto importante sul quale i test sierologici danno indicazioni è anche il momento del contatto con virus. “Nella ricerca di anticorpi – spiega infatti Francia – ne individuiamo due tipi, le IgM, che indicano un contatto recente col virus; le IgG che indicano invece un contatto avvenuto da più tempo con il virus.

Il test sierologico che verrà utilizzato per la campagna di screening in partenza servirà proprio a rilevare l’anticorpo IgG, quindi consentirà di ottenere molte informazioni importanti. 

Tuttavia, adesso non avrebbe senso parlare, ad esempio, di un patentino di immunità per chi ha contratto e superato la malattia. Come abbiamo già ricordato, anche dopo aver individuato gli anticorpi, non siamo in grado di dire quanto e per quanto tempo saranno efficaci. Dobbiamo ancora fare molti studi su questo virus”. 

Test sierologici e vaccino contro il Coronavirus

coronavirus cura

Meyer & Meyer/gettyimages.it

I test sierologici serviranno per capire meglio come funziona il virus con cui abbiamo a che fare, “ma sulla base dei loro risultati saranno prese anche delle decisioni politiche – aggiunge Francia. – Se per esempio i risultati mettessero in luce che solo il 2% della popolazione ha gli anticorpi, bisognerà tenere molto alta la guardia, mentre se invece trovassimo anticorpi nel 50% dei soggetti testati, sapremmo allora che quella popolazione, pur non avendo raggiunto l’immunità di gregge,  può fare da barriera alla diffusione del virus. Potrebbero esserci dei cluster, ma non avrebbero la possibilità di ingrandirsi, perché troverebbero degli individui resistenti”. 

Nel frattempo, gli studi sul virus proseguono, così come le ricerche di un vaccino. “Il suo sviluppo salterà una serie di test”, precisa l’intervistato, riprendendo un tema già affrontato nell’approfondimento dedicato alla pericolosità del virus. “Non avrà effetti collaterali, ovviamente, ma la sua efficacia, a mio parere, non sarà massima. Produrrà degli anticorpi, ma non sappiamo dire per quanto saranno efficaci: la sua durata potrebbe essere di un anno, e trascorso questo tempo potrebbe essere necessaria la somministrazione di un’altra dose. Proprio come con i farmaci, per ora non abbiamo grosse certezze. Tuttavia, è meglio avere un vaccino meno efficace, che non averlo per niente. Un’ipotesi, per esempio, è che il vaccino potrebbe attenuare i sintomi della malattia, anche se non fosse in grado di proteggere completamente”. 

 

Per approfondire l’argomento potete leggere anche: 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post

    1 commento