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#IlMedicoRisponde: cause, sintomi e prevenzione dell’infarto del miocardio

Le malattie cardiovascolari costituiscono ancora oggi, in Italia, uno dei più importanti problemi di salute pubblica e sono la prima causa di morte, poiché, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, rappresentano circa il 44% del totale dei decessi. Tra queste c’è l’infarto del miocardio: per approfondirne le cause e le dinamiche, all’interno della rubrica “Il Medico Risponde” di UniSalute, abbiamo intervistato il professor Ettore Squillace Greco, cardiologo responsabile del Centro cuore e aritmia della casa di cura privata Sanatrix, della cardiologia del Pronto Soccorso e del DEA dell’Ospedale Sant’Andrea, nonché Policlinico Universitario e Facoltà di Medicina della città di Roma.

Infarto del miocardio: cos’è esattamente e quali sono le complicanze

L’infarto del miocardio è un evento noto comunemente come attacco cardiaco, sebbene nella sua fase acuta colpisca “non soltanto il cuore, ma anche le coronarie che lo irrorano”, come specifica il professore. Rappresenta ancora oggi una delle cause principali di morte nella popolazione mondiale, soprattutto nei Paesi industrializzati.

La dinamica consiste “nell’occlusione di una delle coronarie principali del cuore, i vasi sanguigni che portano il sangue a questo muscolo. La conseguenza è una mancata irrorazione di alcune sue parti principali: spesso, se non si sopraggiunge entro i 90 minuti per riaprire la coronaria responsabile dell’infarto, il paziente può anche morire”.

infarto miocardio cuore

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Intervenire tempestivamente: perché è così importante?

Intervenire entro 90 minuti dall’esordio del sintomo angina, ovvero il dolore al petto, è fondamentale in quanto, precisa l’intervistato, “è il tempo massimo per riaprire una coronaria. Non appena il paziente avverte il dolore sospetto, deve recarsi subito al primo pronto soccorso della zona, dove verrà attivata una sala di emodinamica e sarà sottoposto a una coronarografia in urgenza, per poter ripristinare in tempi rapidissimi il flusso sanguigno affinché l’occlusione della stessa non abbia provocato l’infarto e quindi una morte cellulare del cuore”.

Attacco di cuore: i sintomi più frequenti

I sintomi più frequenti dell’infarto del miocardio sono, in particolare, la classica angina pectoris: “parliamo del dolore al cuore e alla parte sinistra del torace, con irradiazione al braccio sinistro, dietro le scapole, qualche volta anche in sede epigastrica, dove c’è lo stomaco, e altre volte anche sulla mandibola. Molti pazienti, per questo motivo, confondono l’angina con un dolore di denti o a volte anche con dolore di stomaco”.

Come si diagnostica l’infarto del miocardio?

Nella fase acuta dell’infarto è necessario identificare il sintomo angina che, come spiega il cardiologo, è “un dolore toracico tipico, che non si modifica né con il respiro, né con la flesso-estensione del tronco e neanche con la digitopressione, ovvero premendo le dita sul torace. In fase acuta, bisogna fare un elettrocardiogramma e controllare il dosaggio degli enzimi cardiaci, in particolare la troponina ultrasensibile”, per avere la certezza che ci sia un infarto miocardico acuto in corso.

cardiomiopatia da stress

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“A volte i sintomi vengono tralasciati, o sono lievi, per questo motivo alcune persone non sanno di aver avuto un infarto: spesso ci troviamo di fronte a infarti avvenuti già da qualche giorno”, aggiunge Squillace. “In quel caso, oltre all’elettrocardiogramma e al sintomo, sicuramente la diagnostica di laboratorio e un’ecografia al cuore fatta in maniera dettagliata, ci danno le dimensioni e la tempistica dell’area infartuale”.

Cos’è e come funziona la TAC coronarica

La TAC coronarica è una TAC multistrato che permette, mediante l’uso di un mezzo di contrasto e una minima esposizione ai raggi X, di ottenere un’immagine stratificata di tutto il cuore e delle coronarie. “È un esame diagnostico che dura pochissimi minuti, non invasivo, che ci permette di capire subito se le coronarie del paziente sono malate oppure no”.

Il rischio di infarto è uguale per uomini e donne?

Il professor Squillace precisa che il rischio di avere un infarto è pressoché uguale negli uomini e nelle donne. “Queste ultime, finché hanno il ciclo mestruale, sono sicuramente più protette rispetto al maschio. Ma la fa da padrona la familiarità: se si ha un genitore o un parente stretto che ha avuto un infarto, allora quasi certamente c’è una grossa probabilità, purtroppo, di poterne subire uno”.

Dal punto di vista della prognosi non cambia molto, a seconda del sesso, ma sicuramente “i fumatori, così come la donna che assume l’anticoncezionale, hanno un rischio maggiore rispetto a un soggetto normale. Gli altri fattori sono la dislipidemia, ovvero colesterolo e trigliceridi elevati nel sangue, la glicemia, quindi il diabete, sono sicuramente molto, molto importanti. In più, in ultimo, l’ipertensione arteriosa, che contribuisce, sia nell’uomo che nella donna, ad aumentare la probabilità di avere un infarto miocardico acuto”.

Come prevenire l’infarto del miocardio?

La prevenzione dell’infarto significa, per prima cosa, cambiare il proprio stile di vita: “smettere di fumare, iniziare a fare attività sportiva, regolare il proprio peso corporeo, stare molto attenti ai valori di colesterolo, trigliceridi, colesterolo cattivo LDL, colesterolo buono HDL, e soprattutto alla glicemia”.

elettrocardiogramma

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Per le donne, aggiunge l’intervistato, “è molto importante farsi accompagnare a una menopausa molto controllata, soprattutto per quanto riguarda l’assetto ormonale. Per gli uomini, invece, soprattutto quelli che stanno per andare in pensione e a un certo punto si mettono in pantofole e si siedono sul proprio divano, è necessario ricordare che bisogna continuare a muoversi, a camminare e a dedicarsi all’attività sportiva. È fondamentale effetuare, ovviamente, dei controlli periodici in base anche all’età dei pazienti e al sesso. Per i ragazzi fino a 40 anni, direi che basterebbe anche semplicemente fare un elettrocardiogramma e magari così, a distanza di qualche anno, anche un’ecografia al cuore. Superato il quarantesimo, quarantacinquesimo anno di età, sia gli uomini che le donne dovrebbero iniziare a fare annualmente un check-up cardiovascolare, che consiste in una visita cardiologica con una raccolta anamnestica dei fattori di rischio, della familiarità, che è molto importante, dello stile di vita e delle malattie pregresse. È opportuno, quindi, fare un elettrocardiogramma, sottoporsi a un’ecografia al cuore e anche a un elettrocardiogramma sotto sforzo, che è un po’ il test della verità per noi cardiologi”.

Squillace ricorda anche come per i pazienti che hanno avuto dei pregressi eventi cardiaci, vascolari o cardiovascolari, “i controlli debbano essere più ristretti nel tempo, anche a cadenza semestrali. E, soprattutto, i pazienti che hanno già avuto un infarto, o delle problematiche vascolari periferiche – patologie carotidee delle arterie carotidi, per esempio, – devono controllarsi con frequenza maggiore, perché sono pazienti altamente a rischio”.

Perché si dice “morire di crepacuore”?

Nel corso dell’intervista, abbiamo chiesto al professore di spiegarci se il detto “morire di crepacuore” è legato a una verità scientifica oppure no. “Purtroppo è una cruda realtà. Ciò che un tempo veniva chiamato crepacuore, nel mondo odierno è la sindrome di Takotsubo, dal nome di un collega cardiologo giapponese che la scoprì. È un infarto a coronarie sane, che avviene con maggiore incidenza nelle donne, piuttosto che negli uomini, soprattutto dopo delle crisi emotive, degli shock, dei traumi, eccetera. Spesso giungono alla nostra osservazione delle persone con un infarto vero e proprio, e quando si effettua la coronarografia le coronarie risultano completamente sane. Molto spesso arriviamo in tempo e riusciamo a salvare il paziente, tante altre volte purtroppo non succede. Quindi l’aspetto emotivo è molto, molto importante nella prevenzione e nella cura dell’infarto miocardico”.

#IlMedicoRisponde: il professor Squillace risponde alle domande di lettori e lettrici del blog di UniSalute

Sul tema dell’infarto del miocardio gli utenti Facebook di UniSalute hanno posto molte domande, tra le quali abbiamo scelto le seguenti, al quale il professore ha risposto e che riportiamo a beneficio di tutti i lettori.

Paura di riprendere la vita normale dopo un infarto: quali consigli?

Marco, 47 anni, ha sempre mangiato bene ed è una persona molto dinamica. Un anno fa ha avuto inaspettatamente un infarto e ora non sa come riprendere la vita normale perché ha paura di tutto. Chiede un consiglio al professore.

“Dopo un infarto, in genere si può riprendere benissimo la vita di sempre”, risponde Squillace. “Sia per quanto riguarda l’aspetto lavorativo che quello sportivo. Ovviamente dipende dall’entità dell’infarto, e sicuramente un fattore importante è il regime dietetico che bisogna seguire nel post-infarto. Bisogna mantenere il proprio peso forma, evitare di mangiare grassi, stare attenti agli zuccheri, controllare tutti quei fattori di rischio che hanno portato all’infarto. Molti pazienti che nel post-infarto hanno seguito queste regole sono tornati tranquillamente a giocare sul campo di calcetto, a tennis, a pallavolo, a basket, a nuotare, e così via”.

L’aspetto psicologico tuttavia non va sottovalutato, infatti a questo proposito l’intervistato aggiunge che “noi cardiologi consigliamo sempre, in questi casi, di affidarsi anche a uno psicologo per poterne parlare e uscire da quel famoso tunnel in cui si trovano molti pazienti, uomini e donne, che hanno subito un trauma del genere”.

Brilique dopo quattro anni dall’infarto

Vincenzo, che quattro anni fa ha avuto un infarto acuto del miocardio, chiede se sia normale assumere ancora il farmaco Brilique.

“Direi di no”, risponde subito Squillace. “Dipende poi da che tipo di infarto ha subito il nostro Vincenzo e quanti stent gli hanno inserito nelle coronarie. In realtà il Brilique, che è un antiaggregante di ultima generazione, si usa nei primi sei mesi/un anno dall’inserimento degli stent durante coronarografia in corso di infarto. Per cui continuare per altri quattro anni il farmaco mi sembra una cosa eccessiva. Però, ribadisco, dipende dall’estensione dell’area infartuale e dal numero di stent inseriti, e ovviamente dagli altri fattori di rischio di cui soffre il nostro Vincenzo”.

Aumento di peso dopo l’infarto

Nadia, 70 anni, infartuata nel 2006, racconta di aver sempre eseguito controlli annuali. Ma negli anni ha messo su peso, 5 chili, nonostante non superi mai le 1000-1200 kcal giornaliere. Suppone che la causa possa essere legata all’assunzione dell’Isoptin 120, come riscontrato da un’amica che ha ritrovato il peso originario dopo averne smesso l’assunzione, per questo chiede il parere del nostro cardiologo.

“Direi che è sicuramente il controllo del peso corporeo è molto, molto importante nel post-infarto. I pazienti che hanno subito un infarto non devono ingrassare”, ribadisce Squillace. “L’Isoptin, come tanti altri farmaci, può creare un disturbo dell’alvo, la famosa stitichezza, per cui pazienti che magari già ne soffrivano – o magari anche no – potrebbero avere un disturbo del genere, che provoca quindi un mancato svuotamento intestinale. Ma non mi sembra il caso di dare la responsabilità all’Isoptin per un aumento del proprio peso. Quindi, verosimilmente, credo che alla base ci sia una disfunzione ormonale molto importante, perciò sarebbe bene controllare la propria tiroide, soprattutto nelle donne ma anche negli uomini, e affidarsi a un nutrizionista valido”.

Pareri discordanti dopo un infarto

Giulia, invece, racconta che il marito ha avuto un infarto da poco e che per sicurezza hanno chiesto consulenza a diversi medici. Ora, però, hanno pareri discordanti. Vorrebbe un chiarimento sui controlli da fare nel post-infarto.

“Direi che affidarsi a diversi pareri è sbagliato”, commenta il professore. “Bisogna sempre affidarsi a un solo parere e avere fiducia in una persona che, nella fattispecie, dovrebbe essere il cardiologo di riferimento durante tutto il percorso del post-infarto. I controlli normali sono sempre la visita cardiologica con elettrocardiogramma, un’ecografia al cuore, un elettrocardiogramma sotto sforzo, con cadenza annuale, ed è importante poi fare una TAC delle coronarie nel post-infarto per andare a ricontrollare eventuali altre stenosi coronariche, ma soprattutto lo stato degli stent coronarici”.

Si può tornare a fare sport dopo un infarto?

Lidia, infine, chiede se può tornare a fare running e ad andare in bici, e con quali accortezza.

“Assolutamente sì. Ovviamente, prima di fare running o bicicletta, che sono degli sport aerobici impegnativi, sarebbe meglio fare un elettrocardiogramma sotto sforzo. Durante questo esame, infatti, abbiamo la possibilità di andare a testare quale potrebbe essere la frequenza cardiaca massima teorica in ognuno di noi, quindi qual è lo sforzo massimo che potremmo raggiungere, e soprattutto controllare anche i valori di pressione arteriosa, molto importanti per chi ha avuto un infarto, ma anche per chi non lo ha avuto. Per cui la risposta è sì, è possibile tornare a fare sport, come il running o la bicicletta, ma prima è fondamentale testarsi e fare un elettrocardiogramma sotto sforzo”.

Al termine dell’intervista, il professor Squillace ricorda ancora una volta l’importanza di prendersi cura del proprio cuore. “Prendiamoci del tempo da dedicare al suo benessere. Mi raccomando, facciamo tutti i controlli e non dimentichiamo le sane abitudini di vita: non fumare, mangiare bene, fare attività fisica. E soprattutto ricordiamo che bisogna intervenire subito, quando c’è un sospetto di infarto, recandosi al pronto soccorso: prima si riapre una coronaria, meno danni facciamo sul nostro cuore”.

La prevenzione di molte patologie, come per esempio quelle cardiovascolari, va di pari passo con i controlli periodici che ci aiutano a monitorare il nostro stato di salute. Alcune polizze, come UniSalute Famiglia, offrono dei programmi specifici con esami, visite mediche e consulenze: un aiuto concreto per migliorare lo stile di vita. Avete mai valutato questa possibilità?

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