Coronavirus nei bambini

Coronavirus nei bambini: come si manifesta e cosa fare in caso di infezione sospetta

Secondo i dati finora emersi, sembra che i bambini siano maggiormente protetti dalle forme più severe dell’infezione, sebbene non sia ancora chiaro cosa determini questa differenza rispetto alla popolazione adulta. Altra questione importante, di cui si discute molto nelle ultime settimane, è la possibilità che il Covid-19 possa trasmettersi dalla madre al feto. 

Di tutti questi interrogativi parleremo con la dottoressa Sandra Brusa, pediatra presso i Centri Medici Dyadea di Bologna, che ci aiuterà a comprendere cosa dicono gli studi più recenti in merito a queste tematiche. Vediamo, dunque, quali sono i sintomi con cui il coronavirus si manifesta nei bambini, come comportarsi se si sospetta che abbiano contratto il virus e se ci sono dei rischi in gravidanza.

Perché i bambini sono più resistenti al coronavirus

Bambina con mascherina

La letteratura scientifica ad oggi disponibile – per lo più quella cinese – rivela che il numero di bambini che ha contratto il virus è relativamente basso, se rapportato a quello relativo agli adulti, e che la sintomatologia in essi riscontrata è più sfumata, con poche complicanze respiratorie gravi, che raramente necessitano di cure intensive. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, i dati aggiornati a marzo 2020 hanno evidenziato che solo l’1,2% dei 22.512 casi di Covid-19 del nostro paese è costituito da bambini.

A confermarcelo è l’intervistata, specificando che “un ampio studio cinese condotto su 2.143 bambini ha evidenziato che il 4% dei bambini era asintomatico, il 51% aveva una malattia lieve, il 39% una malattia moderata e solo il 6% una malattia grave, rispetto al 18,5% degli adulti. Pare inoltre che l’infezione sia più grave nei più piccoli (11% neonati) rispetto alle età successive: 7% di forme gravi nei bambini di età prescolare, 4% nei bambini da 6 a 15 anni, 3% oltre i 16 anni”. 

Sul perché i bambini siano meno soggetti alle forme più severe della malattia, Brusa spiega che sono state formulate diverse teorie, tutte ancora da verificare. “Una prima ipotesi riguarda il fatto che i bambini hanno meno comorbidità e che non fumano: la presenza di malattie croniche concomitanti è meno frequente nel bambino, in più pare che il fumo nell’adulto incida sulla severità dell’infezione, ma è un dato da accertare”, dichiara. 

“È possibile che il coronavirus sia meno aggressivo nei bambini perché hanno un sistema immunitario adattivo più reattivo, capace di tenere sotto controllo la risposta infiammatoria, e perché il loro sistema immunitario è più tollerante. Un fattore che potrebbe limitare la crescita del Covid-19, inoltre, è la presenza simultanea di altri virus nelle mucose dell’albero respiratorio, per via di un meccanismo competitivo. Infine, altra possibilità è che i bambini abbiano nel polmone una minore densità di recettori ACE2, a cui si attacca il Covid-19, ma anche questo è da confermare”, aggiunge.

Coronavirus nei bambini: quali sono i sintomi?

influenza sintomi bambini

leksandra Suzi/shutterstock.com

Alla luce di quanto detto, è spontaneo domandarsi quali siano i principali sintomi con cui il coronavirus si manifesta nei bambini. “L’infezione da Covid-19 in età pediatrica si presenta per lo più in modo asintomatico o paucisintomatico (cioè con sintomi più scarsi e di minore intensità). Dopo una incubazione di 5 giorni (il range è di 2-14 giorni), i sintomi più comuni sono febbre, tosse, faringite, astenia e dolori muscolari. La febbre è quasi sempre una febbricola, comunque inferiore ai 39°C”, commenta la dottoressa Brusa. 

“Altri sintomi osservati con frequenza maggiore rispetto all’adulto sono, inoltre, la diarrea e il vomito; a questo proposito, un recente studio cinese ha riportato che circa il 10% dei bambini esordisce con sintomi gastrointestinali”. Solo il 5% dei bambini infatti, ci spiega la pediatra, presenta sintomi quali dispnea e ipossiemia (riduzione della quantità di ossigeno nel sangue) e solo lo 0,6% ha una sindrome da distress respiratorio acuto. Tachicardia e tachipnea (aumento della frequenza respiratoria) sono segni osservati di frequente al momento del ricovero in ospedale, mentre la mortalità è ancora quasi assente.

Vediamo ora quali sono i segnali che portano il medico a sospettare che si tratti di un’infezione da Covid-19. Innanzitutto, come riporta l’intervistata, i casi definiti sospetti sono quelli che presentano una storia di contatto con un paziente Covid positivo, per lo più un familiare: pare, infatti, che la maggior parte dei bambini contagiati abbia un documentato contatto domestico sintomatico, a differenza degli adulti in cui è prevalente l’esposizione nosocomiale, ovvero in ambito ospedaliero. Oltre a questo elemento, i casi dichiarati sospetti mostrano almeno 2 delle seguenti caratteristiche: 

  • febbre o sintomi respiratori o gastrointestinali o astenia marcata
  • leucociti normali o bassi, linfociti bassi o aumento della proteina C reattiva
  • radiografia del torace patologica, con segni di interessamento dell’interstizio.

Come comportarsi di fronte a un’infezione da coronavirus nel bambino, sospetta o accertata?

In questo periodo di confusione e preoccupazione, i pediatri sono spesso interpellati da genitori in ansia che non sanno cosa fare se il figlio presenta febbre e tosse. Abbiamo quindi domandato alla dottoressa Brusa quali siano i comportamenti corretti da adottare in tal caso. “La prima raccomandazione è di evitare di portare il bambino nello studio pediatrico oppure al Pronto Soccorso. Tramite triage telefonico il pediatra è in grado di valutare i fattori di rischio per il Covid-19 e di gestire la situazione dando consigli telefonici oppure, se necessario, fissando un orario per una visita riservata”, chiarisce.

“Mai come in questo periodo è indispensabile che i pediatri stabiliscano un’organizzazione temporale delle visite, ad esempio dedicando una fascia oraria mattutina per i controlli ai bambini sani o neonati e una fascia oraria pomeridiana per i bambini malati.

La telemedicina può aiutare a svolgere controlli a distanza, anche attraverso videochiamate con gli smartphone, e in casi specifici è possibile fare prescrizioni digitali tramite il fascicolo sanitario. Infine, nel caso in cui il bambino abbia difficoltà respiratorie, si può allertare il 118 per il trasporto in sicurezza in ospedale”, conclude.

“È bene ricordare che il ricovero è riservato a coloro che mostrano sintomi come polipnea (respiro con frequenza superiore alla norma), dispnea (respirazione faticosa) o cianosi (colorazione bluastra della cute dovuta a insufficiente ossigenazione del sangue), con parametri vitali alterati; chi non presenta segni di allarme può essere monitorato a domicilio, fino alla risoluzione dei sintomi”.

Come gestire l’isolamento domestico in caso di contagio

Nel caso in cui il minore entri in contatto con una persona infetta, è importante conoscere i comportamenti da seguire e sapere come gestire l’isolamento domestico che ne consegue. “Se c’è stato un contatto con un soggetto con infezione da Covid-19, sia essa sospetta o certa, è opportuno eseguire un tampone rinofaringeo. Se positivo, è indicata la quarantena con isolamento dai soggetti non infetti; se negativo o se non viene eseguito, è indicato l’isolamento domiciliare con allontanamento dalle persone infette”, spiega la dottoressa. A quel punto, continua l’intervistata, sarà il pediatra a dover monitorare telefonicamente le condizioni di salute del bambino in isolamento per valutarne l’evoluzione clinica, predisponendo il controllo del tampone nei soggetti positivi, quando i sintomi scompaiono, o decidendo il ricovero in caso di aggravamento. 

La dottoressa Brusa fornisce indicazioni precise anche sull’isolamento domiciliare del bambino risultato positivo. “In questo periodo, che ha una durata di 14 giorni, il bambino dovrà stare in una stanza singola ben areata, possibilmente con servizi igienici dedicati. Bisogna far sì che entri in contatto con poche persone, possibilmente non anziane o con problemi di salute, in più è necessario rispettare il distanziamento di almeno 1 metro e lavarsi frequentemente le mani”, specifica. “Oltre a spiegare al bambino come starnutire e tossire correttamente a livello igienico, altre misure fondamentali sono evitare di condividere oggetti come spazzolini da denti, posate, stoviglie, bicchieri e asciugamani, disinfettare almeno quotidianamente tutte le superfici (in particolare bagno e servizi igienici con acqua e candeggina diluita 1%) e lavare vestiti, lenzuola, asciugamani a 60-90°C”. 

Tutto questo senza trascurare l’aspetto psicologico del bambino, sottolinea l’intervistata, al quale va spiegato che tali precauzioni servono per proteggere lui e le persone più fragili. Inoltre, suggerisce di incoraggiarlo a mantenere le sue relazioni sociali, tramite telefono o videochat, e le attività scolastiche con le lezioni a distanza. 

Quando il coronavirus nei bambini si manifesta in forma asintomatica

Covid bambini

Una questione rilevante sulla quale soffermarsi ulteriormente riguarda la possibilità che il coronavirus nei bambini non porti sintomi oppure sintomi molto lievi. La dottoressa Brusa afferma che si tratta di un dato in linea con quanto emerso nelle precedenti epidemie dovute a coronavirus, ovvero Sars e Mers: questi virus non mostrano una spiccata patogenicità nei bambini, che sono perlopiù paucisintomatici o asintomatici. “Proprio per questo motivo, la popolazione pediatrica rappresenta un “silenzioso” reservoir virale (cioè un ospite in cui il virus può sopravvivere in forma latente) che contribuisce alla diffusione del contagio, soprattutto in ambito familiare, con conseguenze temibili per gli anziani e le persone con malattie croniche”, aggiunge.

A questo proposito, abbiamo chiesto alla dottoressa un commento su un caso recente: un bambino di 9 anni, dopo aver contratto il virus, avrebbe incontrato 172 persone, ma nessuna di queste – secondo uno studio di Public Health France – sarebbe stata contagiata. Un episodio che, sempre secondo lo studio, suggerisce come i bambini potrebbero non essere i principali responsabili della diffusione del virus.

“Riguardo alla supposta scarsa contagiosità dei bambini asintomatici o paucisintomatici”, spiega l’intervistata, “allo stato attuale delle cose, dove ancora tutto è in divenire, in effetti mi sento di dire che, a differenza di quanto riportato dal CDC americano (Centers for Disease Control and Prevention) riguardo al rischio di diffusione del contagio da parte dei bambini asintomatici, la realtà italiana non sembra confermare questo dato e la ragione della minor contagiosità potrebbe essere la minor carica virale dei bambini asintomatici, dovuta ad un sistema immunitario più “reattivo”, in grado di eliminare l’infezione più rapidamente rispetto agli adulti, ma anche questi dati sono da verificare”, dichiara.

Tenendo conto di queste informazioni, come dovrebbero comportarsi i genitori per proteggere i propri figli ed evitare che diffondano l’infezione? La pediatra spiega che “in attesa di interventi efficaci sul piano farmacologico e vaccinale, l’unica arma che abbiamo per prevenire il contagio sono le misure di distanziamento sociale, riducendo al minimo i contatti con l’esterno, e un’accurata igiene personale e ambientale”. Senza dimenticare, ribadisce, l’importanza di interagire con i più piccoli in modo adeguato per tranquillizzarli, renderli partecipi di ciò che accade e insegnar loro i comportamenti igienici corretti, argomenti che abbiamo affrontato precedentemente nell’articolo su come spiegare il coronavirus ai bambini

Bambini e coronavirus: la questione “ora d’aria”

bambina che gioca con il cane in giardino

quintanilla/istock.com

Sorrette dalle considerazioni di medici, studiosi, pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva, nelle ultime settimane sono state lanciate diverse petizioni, che chiedevano la possibilità, per i bambini, di poter passare almeno un’ora fuori dalle mura domestiche, rispettando tutte le misure di sicurezza. Abbiamo chiesto alla dottoressa quale fosse la sua opinione a riguardo. “La mia posizione è assolutamente favorevole e concorde con quella della Società Italiana di Pediatria: il bambino ha bisogno di stare all’aria aperta e alla luce, tuttavia ci sono delle norme di sicurezza da rispettare”, precisa. “Deve quindi stare nelle vicinanze di casa, in compagnia di un solo familiare provvisto di mascherina, mantenendo le distanze di sicurezza da altri bambini e adulti che si incontrano. Queste limitazioni vanno spiegate in modo chiaro al bambino, usando un linguaggio adeguato all’età, per evitare che le viva come misure coercitive o punitive”.

Come stimolare l’attività fisica dei bambini pur restando a casa?

Abbiamo già parlato dell’importanza di continuare a fare attività fisica in questo periodo, proponendovi alcuni video e app per fare fitness tra le mura domestiche. Così come gli adulti devono continuare a muoversi, lo stesso vale per i bambini. “Il movimento riveste un ruolo prioritario per la salute in età evolutiva, sia a livello fisico che psichico. Nella situazione attuale, in particolare, fare ogni giorno esercizio fisico è anche un modo semplice ed efficace per tenere a bada lo stress, aumentando l’energia e il benessere generale e migliorando la qualità del sonno”, dichiara la dottoressa Brusa. “Per evitare che il bambino trascorra tutto il tempo davanti alla televisione oppure attaccato a smartphone, computer e videogiochi, il genitore dovrà stimolarlo a dedicare parte della giornata al movimento, anche inteso come gioco”. 

Tenendo conto dell’età del bambino e usando un po’ di fantasia, è possibile inventare qualche espediente per invogliarlo a fare esercizio fisico. “Alcune attività sono indicate a tutte le età, come il ballo a suon di musica, i salti, le capriole, mentre altre sono età dipendente”, suggerisce la pediatra. “A un bambino più piccolo, ad esempio, si potrebbe proporre di mimare i movimenti degli animali, di muoversi a piedi nudi in un percorso a ostacoli fatto di cuscini, cubi di legno e scatole, oppure di camminare un piede dietro l’altro su un filo di scotch colorato messo sul pavimento. I bambini più grandi, invece, potrebbero saltare la corda, giocare a nascondino, fare una caccia al tesoro. Un’altra idea è creare un percorso a ostacoli che includa diversi movimenti oppure improvvisare un campo da basket in cameretta, usando i calzini arrotolati come palla e i cestini della carta come basket, ad esempio”, spiega.

Il coronavirus può essere trasmesso dalla madre al feto?

Aglio in gravidanza

 

Quando si parla di coronavirus nei bambini, non si può ignorare un altro interrogativo importante sollevato in queste settimane, ovvero se una madre positiva al Covid-19 possa trasmettere l’infezione al feto. Come riportato dal sito della Fondazione Veronesi, sulla base dell’esperienza cinese sono stati pubblicati due studi, uno sulla rivista The Lancet, l’altro su Frontiers in Pediatrics, che sembrano escludere questa possibilità. Tuttavia, il 14 marzo, a Londra, un neonato è stato trovato positivo al test del coronavirus.

Abbiamo quindi chiesto alla dottoressa Brusa se ci siano delle risposte certe in merito alla possibilità di una trasmissione da mamma a feto. “L’interrogativo resta aperto perché il problema della trasmissione verticale dell’infezione da Covid-19 dalla madre al feto è attualmente privo di risposte basate su evidenze scientifiche forti. Studi eseguiti in Cina su madri positive al coronavirus nel terzo trimestre di gravidanza hanno evidenziato la negatività della ricerca del virus nel liquido amniotico, nel sangue cordonale e nel latte materno, oltre che nella placenta di madri Covid positive sottoposte a taglio cesareo”, afferma. “Uno studio su 33 bambini nati da madri Covid positive a Wuhan, però, ha evidenziato che 3 su 33 (il 9%) hanno presentato sintomi di infezione a esordio precoce, e anche in Italia vi sono segnalazioni in tal senso, ponendo il dubbio di trasmissione verticale”.

“Tuttavia, allo stato attuale, si è più inclini a pensare che un’eventuale infezione da coronavirus nel neonato sia più probabilmente il risultato di una trasmissione dalla madre al bambino per via respiratoria nel post partum. Del resto, anche nell’epidemia asiatica di Sars durante gli anni 2002-2003 non fu mai confermata la trasmissione verticale dell’infezione”, conclude.

Se la madre ha contratto il Covid-19, può allattare senza problemi?

Altra questione rilevante, strettamente connessa alla precedente, è la possibilità per una madre positiva al coronavirus di allattare al seno senza rischi per il neonato. Per rispondere a questa domanda, la dottoressa Brusa ci illustra, innanzitutto, le indicazioni della Società Italiana di Neonatologia in merito alla gestione di madre e bambino. “L’opzione da privilegiare è quella della gestione congiunta di madre e bambino quando la mamma, Covid positiva, è asintomatica o paucisintomatica, oppure in via di guarigione. Qualora la donna avesse un’infezione respiratoria sintomatica, madre e neonato dovrebbero essere temporaneamente separati, in attesa della risposta del tampone: se positivo, madre e figlio continuerebbero a stare divisi; se negativo, potrebbero stare insieme, compatibilmente con le condizioni della madre”, spiega.

In merito all’allattamento la pediatra specifica che “il latte materno, in base alle attuali evidenze scientifiche, non è ritenuto veicolo di trasmissione del virus da donne affette da Covid-19. Secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, la madre può allattare, ma per ridurre il rischio di trasmissione deve adottare tutte le procedure preventive, come l’igiene delle mani e l’uso della mascherina durante la poppata. Se le condizioni cliniche della madre non consentono l’allattamento al seno, o nel caso in cui madre e figlio debbano essere temporaneamente separati, è raccomandato l’uso di latte materno spremuto, non pastorizzato”.

Come proteggere un neonato dal Covid-19?

Coronavirus misure anticontagio bambini

“I neonati sono organismi più fragili e più predisposti a contrarre infezioni, in quanto il loro sistema immunitario è ancora immaturo, per cui bisogna avere nei loro confronti tutte quelle precauzioni che è bene tenere, in generale, verso chi è a maggior rischio infettivo”, afferma l’intervistata. “È quindi consigliabile limitare al massimo i contatti del neonato con persone che non siano i fratelli o i genitori, mentre è possibile portarli in spazi aperti come terrazzi o giardini, se sono sotto o vicino a casa e se non ci si avvicina ad altre persone. Chi accudisce il bambino dovrà rispettare tutte le regole igieniche necessarie, con particolare riferimento al lavaggio delle mani e alla disinfezione degli ambienti. Inoltre, saranno da evitare i contatti con soggetti che presentano anche modesti sintomi respiratori e bisognerà ridurre gli accessi ai servizi sanitari per prestazioni che possono essere rimandate. Sia per i bilanci di salute sia in caso di insorgenza di sintomi respiratori, si dovrà telefonare al pediatra curante, che dopo teleconsulto stabilirà i percorsi da seguire”, raccomanda.

UniSalute ha dedicato una rubrica specifica al tema coronavirus. Se vi interessa approfondire l’argomento, vi consigliamo la lettura degli articoli più recenti:

 

Altre fonti:

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