Mobbing e depressione: fino a che punto l’ambiente lavorativo può influire sulla salute?

 

Il mobbing è una forma di violenza psicologica che avviene sul luogo di lavoro ai danni di un dipendente o di un collega. Questo fenomeno va distinto da una situazione generale di stress, in quanto presenta delle peculiarità ben precise. Inoltre, nelle sue manifestazioni più gravi e ripetute, può incidere molto negativamente sulla salute fisica e psichica della vittima.
In questo articolo approfondiremo che cos’è il mobbing, quali sono le azioni che lo caratterizzano, che legame ha con ansia e depressione e cosa dice la legge italiana in merito a questa aggressione lavorativa. 

Cosa si intende quando si parla di mobbing?

Con il termine “mobbing” si fa riferimento a una serie di comportamenti vessatori e persecutori messi in atto da un superiore o dai colleghi nei confronti di un lavoratore, con l’obiettivo di isolarlo ed emarginarlo. 

Il mobbing si contraddistingue – e si differenzia per esempio dai “semplici” episodi di contrasto con colleghi o titolari – per essere un fenomeno ripetuto e protratto nel tempo che si manifesta attraverso atteggiamenti quali, per esempio, umiliazioni, intimidazioni, aggressioni verbali e offese, che possono portare il dipendente a una condizione di forte disagio psicologico e, in alcuni casi, alla depressione.

La parola deriva dal verbo inglese to mob, che significa “affollarsi intorno a qualcuno”, “assalire, malmenare, aggredire” e viene utilizzata in etologia, (la scienza che studia il comportamento animale), per indicare l’azione attuata da un gruppo di possibili prede nei confronti di un predatore, al fine di intimorirlo ed evitare che attacchi. Il primo a parlare di mobbing come persecuzione psicologica sul posto di lavoro fu lo psicologo Heinz Leymann, alla fine degli anni Ottanta.

Il mobbing non va confuso con il concetto generale di stress sul luogo di lavoro – anche se può causarlo, come vedremo – ed è bene distinguerlo dalle forme di conflitto che talvolta si verificano con colleghi e referenti.

Differenza tra mobbing e straining

Spesso il mobbing viene confuso con lo “straining”, termine con cui però si  intende un fenomeno leggermente diverso, sebbene non meno grave o preoccupante. Lo straining è caratterizzato da un rapporto conflittuale, difficile e di natura denigratoria tra uno o più lavoratori e la vittima, ma è diverso dal mobbing perché non c’è costanza, ripetitività e continuità nelle azioni vessatorie.

Quindi, possiamo dire che lo straining è costituito da poche azioni isolate,  spesso però talmente gravi da incidere comunque sulla salute psicofisica del dipendente, mentre il mobbing è definito proprio dalla sistematicità delle vessazioni. 

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Come si manifesta il mobbing nella vittima e perché può causare ansia e depressione 

Come accennato, il mobbing può sfociare in sintomi quali ansia e depressione, disturbo post-traumatico da stress, ovvero una risposta ritardata o protratta a un evento stressante, ma anche nel disturbo dell’adattamento, una condizione di tipo emozionale che insorge nel periodo che segue a un episodio particolarmente stressante. Ricordiamo, inoltre, che il mobbing può rientrare anche tra la cause della sindrome da burnout, ovvero – in base alla definizione dell’OMS – uno stress cronico e persistente dovuto al lavoro.

Generalmente, nello stadio iniziale del mobbing la vittima percepisce una situazione di disagio fisico ed emotivo, causato dallo stato di confusione in cui, suo malgrado, si ritrova. Con il tempo e con il ripetersi degli episodi di vessazione e isolamento, questa condizione evolve in incertezza e paura di sbagliare, che, progressivamente, fanno purtroppo sentire la vittima sempre meno all’altezza e sempre più distaccata dal luogo di lavoro e dalle mansioni stesse. 

Quando l’efficienza sul lavoro continua a diminuire, per via del disagio provato, dell’insicurezza e degli ostacoli provocati dal o dai mobber, l’autostima si riduce e il lavoratore cade in un circolo vizioso che provoca un calo nella qualità del lavoro, come anche un netto peggioramento nello stato di salute della persona. Tutto ciò può influire negativamente su altri ambiti, come quello sociale e familiare: per esempio, questo periodo molto difficile può portare a un allentamento dei legami familiari e di amicizia, una fuga dai rapporti sociali, e un distacco dalle responsabilità che si hanno in famiglia.

La conseguenze sulla salute mentale della persona mobbizzata si presentano spesso sotto forma di ansia, con manifestazioni come fobie e depressione dell’umore, e con conseguente apatia, scarsa volontà di agire, incapacità di progettare il futuro, difficoltà a concentrarsi, insonnia e insicurezza. In alcuni casi si riscontra la presenza di pensieri ricorrenti, relativi al lavoro, nonché di incubi legati alla situazione professionale.

Questi sintomi possono essere accompagnati da manifestazioni psicosomatiche, alcune delle quali già accennate, tra cui cefalea, disturbi gastrici, tachicardia, manifestazioni cutanee, – e da disturbi del comportamento, pensiamo ai disturbi alimentari, all’aumento di consumo di alcolici, farmaci e fumo, oppure alle reazioni aggressive.

Tipologie di mobbing 

A livello psico-sociologico, sono state normate diverse diverse classificazioni di mobbing. Citiamo le più frequenti e facilmente riscontrabili nel mondo del lavoro:

  • orizzontale, quando proviene dai colleghi dello stesso livello gerarchico;
  • verticale, quando si verifica tra lavoratori di grado diverso: può essere discendente, se avviene dall’alto verso il basso (in tal caso si definisce anche “bossing”), oppure ascendente, se le vessazioni partono da un lavoratore subordinato e sono dirette a un superiore;
  • mobbing trasversale, che riguarda anche persone esterne all’ambiente lavorativo, le quali, in accordo con l’autore del mobbing, contribuiscono a isolare e a discriminare la vittima;
  • doppio mobbing, che riguarda l’ambito familiare: secondo lo psicologo Harald Ege grazie al quale, negli anni ‘90, si è iniziato a parlare di mobbing in Italia, il doppio mobbing si verifica quando il mobbizzato riversa sui familiari i propri problemi. Questi ultimi, dopo una prima fase di sostegno e comprensione, tenderanno a prendere le distanze – a causa del rifiuto della vittima di farsi aiutare e la sua tendenza a chiudersi a riccio –, lasciando il soggetto in una condizione di ulteriore isolamento;
  • co-mobbing, cioè la presenza passiva di testimoni che, pur conoscendo la difficoltà della vittima e la gravità delle azioni vessatorie, non intervengono in aiuto della vittima. 

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Quali comportamenti rientrano nel mobbing? 

Il mobbing può comprendere azioni di vario tipo, ad esempio:

  • isolamento della vittima dal gruppo di lavoro;
  • richiami ingiustificati;
  • trasferimento in sedi scomode e lontane;
  • demansionamento, con l’assegnazione al dipendente di ruoli al di sotto delle sue competenze;
  • attribuzione di mansioni superiori alle sue capacità, al fine di metterlo in difficoltà; 
  • assegnazione di mansioni eccessivamente rischiose, per mettere a repentaglio la sicurezza della persona;
  • offese sia in ambito lavorativo che privato;
  • sabotaggio, impedendo così alla vittima di lavorare nel migliore dei modi e al massimo delle sue capacità.

Possibili conseguenze del mobbing sulla salute 

Il mobbing, come anticipato, può generare nella vittima una condizione di forte stress fisico ed emotivo che si riflette sulla sua salute. Alcune possibili conseguenze fisiche, psicologiche e comportamentali sono:

  • insonnia e problemi del sonno;
  • ansia;
  • depressione;
  • sintomi del disturbo da stress post-traumatico;
  • apatia;
  • insicurezza;
  • irritabilità;
  • dermatiti;
  • disturbi gastrointestinali;
  • mal di testa;
  • aumento del consumo di alcolici e farmaci.

I dati del mobbing in Italia

Secondo i dati Ispesl del 2021, le vittime di mobbing in Italia sono circa 1 milione e mezzo, su un totale di circa di 21 milioni di occupati.

Una ricerca svolta da AIDP – Associazione Italiana per la Direzione del Personale – nel 2022 è entrata maggiormente nel dettaglio della questione, coinvolgendo nel sondaggio più di 600 dirigenti delle risorse umane e del personale. Secondo le risposte ottenute, nel 65% dei casi gli episodi di mobbing avvengono in presenza di testimoni, i già citati co-mobber. 

Il 40% delle vittime di questa violenza lavorativa sono donne e il 23% sono i lavoratori più giovani. Le persone con elevata anzianità ricoprirebbero il 7,5% delle vittime di mobbing, seguite dalle minoranze etniche (7%), dai dipendenti con orientamento sessuale non convenzionale (5,5%) e dalle persone con disabilità (5%). 

Fortunatamente, la stessa ricerca evidenzia che, rispetto agli scorsi anni, per il 55% degli intervistati è aumentata la tendenza a denunciare questi episodi di violenza. 

Cosa fare se si è vittime di mobbing? 

Non è sempre facile riconoscere una situazione di abuso psicologico e il mobbing non fa eccezioni. Spesso chi ne è vittima tende a sottovalutare la situazione – per non creare conflitti e per non perdere il posto di lavoro –, come anche a colpevolizzarsi e a mettere in discussioni le proprie capacità e i propri atteggiamenti.

Ecco quali sono i primi passi da compiere se si è vittime di mobbing sul posto di lavoro. 

  • Informarsi sulla politica aziendale in merito al mobbing. Spesso le aziende, soprattutto quelle più grandi e strutturate, hanno delle specifiche politiche sul mobbing, come anche sugli episodi di bullismo o straining.
  • Provare a comunicare con l’aggressore. Se gli episodi di mobbing si trovano ancora in uno stadio iniziale, potrebbe essere possibile cercare di parlare e confrontarsi con la persona che sta mettendo in atto le intimidazioni e le aggressioni. 
  • Informare la direzione o le risorse umane. In molti casi, tuttavia, non è possibile affrontare l’autore del reato. È importante, comunque, informare la direzione o il reparto delle risorse umane di quanto sta accadendo, in modo che possano prendere provvedimenti per risolvere il problema.
  • Conservare tutte le prove. La raccolta di un registro delle date, degli orari, dei luoghi, dei dettagli delle violenze e dei nomi di eventuali co-mobber potrebbe rivelarsi preziosa, se qualcuno chiede di comprovare le accuse. È consigliabile quindi salvare ogni eventuale e-mail e messaggio in cui il mobbing è evidente e, se possibile, raccogliere le testimonianze di chi è disponibile a parlare. 
  • Trovare qualcuno con cui parlarne. Il mobbing è estremamente stressante ed estenuante. Avere qualcuno di fidato con cui confidarsi aiuterà a ridurre l’impatto di questa violenza e a trovare possibili soluzioni. 
  • Fare un reclamo ufficiale. Se si ritiene che il problema non sia stato preso sul serio da coloro che sono stati informati e che gli episodi di mobbing non siano cessati, è possibile presentare un reclamo ufficiale tramite le procedure previste internamente dall’azienda o attraverso una denuncia scritta. 

Conseguenze del mobbing per l’azienda

Il mobbing non rappresenta solo un problema per la vittima che, oltre a subire ricadute sulla salute, si trova spesso a far fronte a perdite economiche dovute ai costi per visite, cure e terapie. Anche l’azienda può subire dei danni finanziari a causa di questo fenomeno. 

Come spiega il Center for Workplace Mental Health – situato a Washington e preposto a effettuare ricerche sulla gestione della salute mentale sul posto di lavoro –, le persone che subiscono mobbing hanno più probabilità di lasciare l’impiego, di essere assenteiste e di sentirsi insoddisfatte del proprio lavoro. Inoltre, fattori come la perdita di produttività, la rotazione dei dipendenti e i possibili contenziosi possono influire molto sui costi dell’impresa, senza contare che il mobbing può danneggiare l’immagine aziendale.

Per queste ragioni, il Centro ritiene molto importante che i datori di lavoro adottino delle strategie adeguate per prevenire e bloccare il mobbing, prima di tutto riconoscendo che il problema esiste e non minimizzando eventuali comportamenti aggressivi da parte di alcuni dipendenti, in più mettendo in atto una corretta formazione sul tema.

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Legge italiana e mobbing

Purtroppo, in Italia non esiste ancora una norma che tuteli lavoratori e lavoratrici dal mobbing. Tuttavia, il diritto italiano ci fornisce alcune importanti norme con cui proteggere comunque il benessere del lavoratore. 

Prima tra tutte, la Costituzione, che tutela la salute dell’individuo e la dignità umana. Poi, il Codice Civile, che con l’articolo 2087 protegge l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, e con il 2103 stabilisce che il lavoratore deve essere “adibito” alla mansione per la quale è stato assunto e non può essere trasferito altrove senza una giusta motivazione. 

Gli articoli 660, 582, 590 e 610 del Codice Penale, inoltre, impongono conseguenze serie verso chi perpetra violenza privata, condotte vessatorie, intimidazioni, disturbi e molestie. 

Infine, è utile sapere che gli articoli 7, 13 e 15 della legge 300/70 dello Statuto dei Lavoratori prevedono delle procedure disciplinari contro gli abusi sul luogo di lavoro e tutelano il lavoratore da eventuali atti discriminatori e dequalificanti.  

Un clima disteso in azienda è fondamentale per garantire la serenità dei dipendenti e, di riflesso, il rendimento dell’impresa. Proprio per questo è importante puntare sul benessere organizzativo, anche attraverso prodotti sanitari specifici. Tra i servizi più richiesti dai datori di lavoro, ad esempio, troviamo le polizze sanitarie, come quelle che UniSalute mette a disposizione di fondi e aziende: il grande vantaggio, per i dipendenti, è quello di poter usufruire di sconti su prestazioni sanitarie di diagnostica e cura, in tempi brevi.

Ma non è tutto: i piani di welfare aziendale possono contare anche su realtà come SiSalute, marchio di UniSalute Servizi che si occupa della gestione di servizi sanitari non assicurativi, come pacchetti di flexible benefit in ambito sanitario, che permettono di accedere a prestazioni a prezzi agevolati presso le strutture sanitarie convenzionate. Tutti aspetti che possono sicuramente favorire i lavoratori e contribuire al loro benessere.

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    2 commenti

  1. Il problema del mobbing è che siamo nel 2020 ed ancora oggi è difficile raccogliere le prove per indire una causa legale. Bisognerebbe fare dei colloqui annuali o semestrali con le hr e trattare solo di questo argomento.

  2. Certamente la prova è il marcatore di qualcosa grave, ma a volte evanescente da scoprire, almeno in alcuni casi. Il demansionamento lavorativo è però verificabile, grazie a documentazioni verificabili attraverso diplomi ufficialmente riconosciuti, o esperienze lavorative inopinabili.
    La prova delle prove è però la testimonianza diretta di colleghi/colleghe, responsabili e collaboratori. In questo caso, una fin troppo facile manovrabilità dei testimoni da parte dei centri apicali dell’azienda sono fin troppo evidenti. Però i lavoratori, prima o poi, vanno in pensione, o cambiano attività e azienda.
    In quel caso la testimonianza giurata non sarà evitabile e non più gestibile dalla controparte di chi diventa finalmente l’accusato.