Le ultime settimane hanno visto un aumento dei contagi di Covid-19 e l’attenzione della comunità scientifica si è concentrata su una subvariante: si tratta di Omicron 2, sottovariante di Omicron.
Fortunatamente, sebbene sia caratterizzata da una trasmissibilità maggiore, dagli studi finora condotti non sembra causare sintomi più gravi.
In questo articolo cercheremo di fare maggiore chiarezza su questo nuovo “volto” del Coronavirus e scopriremo quello che attualmente si conosce riguardo la sua contagiosità, diffusione e pericolosità.
Omicron 2: quanto è diffusa?
Dal Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità dello scorso 25 marzo dedicato alle varianti del Covid-19, si evince che Omicron è quella attualmente prevalente in Italia: i dati ci dicono che il 99,86% dei contagiati presentano questa variante a fronte dello 0.08% della Delta.
Da Omicron sono derivate delle subvarianti, tra cui Omicron 2 (detta anche BA.2), che risulta essere in rapido aumento. Secondo i dati dell’indagine rapida del 7 marzo 2022 – a cui fa riferimento il documento ISS citato – rappresenta il 44% dei campioni analizzati: un deciso incremento, dunque, se si pensa che il 31 gennaio scorso risultava al 3%.
Omicron 2 è presente nella quasi totalità delle regioni italiane, e si sta diffondendo anche a livello globale: come spiega l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è la sottovariante Omicron predominante in alcuni Paesi.
Omicron 2: trasmissibilità e gravità
Secondo gli studi condotti, Omicron 2 sembra essere più trasmissibile rispetto a Omicron 1 (BA.1), la variante Omicron finora predominante. Sarebbe infatti più contagiosa del 30% (ricordiamo che Omicron 1 aveva già una contagiosità più alta delle varianti precedenti), e il suo livello di trasmissibilità supererebbe morbillo e varicella.
Omicron ha mostrato un’aggressività minore rispetto alle varianti precedenti e ora la comunità scientifica si sta chiedendo se Omicron 2 sia più grave rispetto alla “sorella” oppure no. Su questo punto le evidenze sono ancora limitate, ma sembrerebbe che la sottovariante non porti a un maggior rischio di ricovero rispetto alla prima. I sintomi stessi sarebbero simili a quelli di Omicron 1, dunque principalmente a carico delle vie aeree superiori con manifestazioni come raffreddore o lieve influenza con dolori di tipo articolare e muscolare, perlomeno tra le persone vaccinate.
Anche con Omicron 2 è possibile tornare ad ammalarsi ed è stata documentata la possibilità di infettarsi con Omicron 2 dopo un contagio da Omicron 1. Tuttavia, come sostiene l’OMS, una precedente infezione da Omicron 1 sembra fornire una forte protezione nei confronti della subvariante (almeno nel periodo per il quale sono disponibili i dati).
La risalita dei contagi delle ultime settimane
La risalita dei contagi a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, secondo gli esperti, sarebbe legata sia alla maggiore diffusività di Omicron 2 sia all’arrivo dei primi caldi di primavera e agli sbalzi termici tipici dei cambi di stagione, fattori che possono portare il virus a circolare maggiormente. In particolare, sarebbero i bambini i più esposti al Covid-19, perché meno vaccinati rispetto agli adulti.
La comparsa della variante “Xe” deve preoccupare?
È bene ricordare che recentemente, nel Regno Unito, è stata individuata una nuova variante, la “Xe”, mentre pochi giorni fa, come si legge su Repubblica, è stata isolata a Reggio Calabria la variante “Xj”. In entrambi i casi, si tratterebbe non di vere e proprie varianti nuove, bensì di ricombinazioni di Omicron 1 e Omicron 2.
Ancora c’è molto da scoprire a riguardo, ma dalle prime indagini effettuate sembra che “Xe” sia più contagiosa del 10% rispetto a Omicron 2. Fortunatamente, però, non causerebbe una malattia più grave. Come detto, si tratta ancora di dati preliminari che vanno ulteriormente verificati e che, proprio per questo, secondo gli esperti non devono creare allarmismi.
Il ruolo del vaccino nel contrastare Omicron 2
La vaccinazione contro il Covid-19, dunque, resta fondamentale. La sua importanza rimane tale nonostante alcuni studi preliminari del Ministero della Salute ci dicono che chi ha completato il ciclo vaccinale da più di 120 giorni sia più esposto all’infezione, la trasmissione del virus e la malattia asintomatica.
Anche se il livello di protezione vaccinale diminuisce, “i vaccini rimangono però altamente efficaci nel prevenire le manifestazioni gravi causate da Covid-19 e le sue varianti, diversi mesi dopo il ciclo vaccinale completo. Le persone che sono completamente vaccinate hanno infatti un rischio significativamente inferiore di sviluppare una forma di malattia grave o di avere la necessità di ricovero in ospedale, rispetto alle persone non vaccinate o vaccinate da molto tempo”, sottolinea il Ministero.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, fa una precisazione relativa al possibile aggiornamento dei vaccini, in quanto quelli attuali si basano sul virus circolato all’inizio della pandemia. “Da allora, c’è stata una continua e sostanziale evoluzione del virus ed è probabile che questa evoluzione continui, determinando l’emergere di nuove varianti. Potrebbe quindi essere necessario aggiornare la composizione degli attuali vaccini COVID-19”.
Secondo gli esperti, comunque, stiamo andando gradualmente verso una situazione di convivenza con il virus, che presumibilmente tornerà a fasi cicliche soprattutto in corrispondenza con il periodo invernale. Con questa consapevolezza e aspettando che la comunità scientifica acquisisca ulteriori informazioni sulla subvariante Omicron 2, è fondamentale mantenere l’attenzione elevata, portando avanti tutte le raccomandazioni utili a ridurre il rischio di contagio e affidandosi al vaccino.
Strumenti importanti sono i tamponi e i test sierologici. A questo proposito, SiSalute, marchio di UniSalute Servizi, mette a disposizione Card Test Covid che consente di eseguire questi test ai migliori prezzi sul mercato.
Fonti:
iss.it
who.int
salute.gov.it
grupposandonato.it
repubblica.it
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