La PET, un approccio innovativo all’imaging medico

In un mondo in cui la tecnologia medica evolve rapidamente, diventa sempre più importante comprendere a fondo i vari strumenti diagnostici a nostra disposizione. Uno degli esami più innovativi e preziosi in campo medico è la Tomografia a Emissione di Positroni, più comunemente nota come PET (Positron Emission Tomography). Questa tecnica ha aperto nuove frontiere nella diagnosi e nel trattamento di svariate patologie, tra cui molte forme di cancro, come quelli ai polmoni, al seno, al colon, all’esofago e ai linfomi.
Nel corso di questo articolo sveleremo i meccanismi alla base di questa sofisticata tecnologia. Illustreremo poi cos’è la PET, come è nata, cosa può rilevare e come si differenzia da altri esami diagnostici come la TAC. 

Che cos’è la PET e cosa rileva questo esame diagnostico 

La PET è una tecnologia di imaging biomedico che consente di analizzare la funzionalità di organi e tessuti. A differenza di altre tecniche, che si concentrano principalmente sulla struttura anatomica, la PET permette di osservare i processi biologici a livello cellulare. Questa particolare caratteristica si deve all’uso di un tracciante radioattivo – una molecola, spesso una forma di glucosio, che viene marcata con un isotopo radioattivo –, che viene iniettato al paziente prima dell’esame. Una volta che questa sostanza viene immessa nel corpo, si diffonde nell’organismo e viene assorbita dalle cellule. Le cellule che utilizzano più energia, come spesso accade in quelle tumorali, tendono a inglobare più tracciante. Questo permette alla PET di rilevare aree di alta attività cellulare, facilitando la diagnosi di varie condizioni mediche.

Come nasce 

L’origine della PET si può rintracciare nel XIX secolo con studi sul flusso sanguigno cerebrale. L’autoradiografia – una tecnica di imaging utilizzata per visualizzare la distribuzione di sostanze radioattive – e l’uso di radiotraccianti gassosi – sostanze radioattive capaci di legarsi a specifiche molecole presenti nell’organismo –, introdotti nel 1948, hanno permesso di visualizzare le molecole all’interno del corpo. Negli anni ’60, l’uso del radiotracciante sicuro 2-deossiglucosio ha aperto la strada all’analisi del consumo di glucosio nel cervello, fondamentale per comprendere l’attività cerebrale. Le innovazioni tecniche, come l’introduzione dello scintiscanner e di nuovi rilevatori, hanno portato all’evoluzione della PET, rendendola uno strumento diagnostico prezioso e di alta precisione a partire dagli anni ’90.

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Che cosa rileva la PET?

Essendo un esame funzionale, la PET permette di identificare cambiamenti nella normale attività biologica che possono indicare l’insorgenza di una malattia. È per questo motivo che è largamente utilizzata in oncologia: le cellule tumorali, infatti, presentano un’attività metabolica notevolmente più alta rispetto a quelle normali, e questa differenza può essere rilevata dalla PET prima ancora che il tumore diventi visibile con altre tecniche di imaging. Oltre all’oncologia, questa particolare tecnica di imaging trova applicazione in numerose altre aree mediche. In neurologia, ad esempio, viene utilizzata per investigare l’attività cerebrale in pazienti affetti da malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson, mentre in cardiologia aiuta a rilevare aree di tessuto cardiaco danneggiato o a basso flusso sanguigno.

Differenze tra PET e TAC

Sia la PET che la TAC (Tomografia Computerizzata) sono tecniche di imaging medicale, ma presentano caratteristiche diverse. La TAC fornisce informazioni morfologiche, cioè relative alla struttura degli organi, e utilizza raggi X per generare immagini dettagliate del corpo. La PET, al contrario, come abbiamo spiegato, evidenzia l’attività cellulare degli organi e tessuti. Queste due tecnologie possono essere combinate in un unico apparecchio, chiamato PET-TAC, per ottenere una visione integrata delle condizioni del paziente.

La PET è invasiva?

Si tratta di un esame non invasivo, dal momento che non richiede interventi chirurgici o procedure dolorose. L’esame comporta l’iniezione di un tracciante radioattivo nel flusso sanguigno del paziente. Questa sostanza non provoca effetti collaterali e viene eliminata dal corpo nel giro di poche ore. Il test stesso dura circa un’ora e mezza e non richiede il ricovero, quindi può essere eseguito in day hospital. Per quanto riguarda la presenza di radiazioni, è comparabile a quella di altri esami di imaging. Il radiotracciante utilizzato durante questa tipologia di test, infatti, decade rapidamente, riducendo così il tempo di esposizione del paziente. Inoltre, i moderni scanner PET sono progettati per limitare il contatto con le radiazioni, focalizzando il fascio su aree specifiche del corpo.

Ad ogni modo, il medico valuterà sempre il rapporto rischio-beneficio prima di prescrivere un esame di imaging che comporta l’uso di radiazioni. Nel caso della PET, i benefici derivanti dalla capacità di diagnosticare, monitorare o escludere patologie gravi o potenzialmente letali, come il cancro, superano generalmente i rischi associati. 

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Come prepararsi all’esame della PET

La preparazione per una PET varia in base al tipo di esame e alle specifiche esigenze del paziente. In genere, si richiede di non mangiare né bere – tranne acqua – per diverse ore prima dell’esame. Alcuni farmaci potrebbero dover essere sospesi, quindi è importante segnalare allo specialista tutti i medicinali che si stanno assumendo. Inoltre, a causa della radioattività del tracciante, si suggerisce di evitare il contatto stretto con donne in gravidanza o bambini piccoli per alcune ore dopo l’esame.

La PET può integrarsi nel quadro di un percorso terapeutico più ampio, che potrebbe richiedere interventi medici, terapie specialistiche e periodi di convalescenza, tutti elementi che comportano dei costi.

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Fonti: 

stanfordhealthcare.org

nhs.uk

mayoclinic.org

clevelandclinic.org


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