Lavorare troppo: i rischi per la salute
La scienza e la medicina per prime indicano come, effettivamente, alcune delle preoccupazioni degli italiani abbiano delle radici fondate. In particolare, sono molti gli studi di evidenziano come lavorare troppo faccia male al cuore. Secondo una ricerca britannica pubblicata sulla rivista Lancet, una settimana lavorativa di più di 55 ore fa aumentare fino al 27% il rischio di ictus e fino al 13% quello di sviluppare una malattia cronica rispetto a chi sta sul posto di lavoro tra le 35 e le 40 ore settimanali.
Sebbene il nesso causale tra lavoro e rischi cardiovascolari debba ancora essere indagato a fondo, gli studiosi sono concordi nell’indicare che uno stress prolungato da lavoro possa indurre alcune alterazioni nell’organismo, possibili fonti di patologie insidiose, soprattutto sul sistema cardiovascolare, ma non solo.
Infatti, gli effetti dell’eccesso di lavoro coinvolgono anche la dimensione psicologica. Sempre più diffusa è, infatti, la “sindrome da stress lavorativo” o burnout, di cui abbiamo già parlato e che si manifesta con sintomi quali:
-
ansia
-
depressione
-
panico
-
rabbia
-
autocommiserazione
Infine, lavorare troppo può causare anche mal di testa di tipo ipertensivo, insonnia, gastrite.
Le conseguenze dell’iper-lavoro sulle donne
I rischi del lavorare troppo a lungo, tuttavia, non finiscono qui. Uno studio pubblicato sul Journal of Occupational and Environmental Medicine realizzato dall’Università dell’Ohio evidenzia i rischi che corrono, in particolare, le donne. Infatti, una settimana lavorativa di più 60 ore in totale prolungata per almeno tre decadi triplica le possibilità di ammalarsi di diabete, tumore, patologie cardiache e artrite.
Si tratta di una situazione davvero insidiosa perché, da un lato, i segnali dello stress lavorativo non si manifestano subito, quindi tante giovani donne stanno gettando ora, per così dire, le basi dei propri problemi del futuro, inconsapevolmente. Dall’altro, gli studiosi ipotizzano che gli effetti dell’iper lavoro siano più severi sulle donne perché ancora oggi ricade su di loro la gran parte dello stress determinato dalla gestione della famiglia. Del resto, abbiamo già dedicato un approfondimento alle difficoltà di conciliare lavoro e maternità oggi in Italia: il punto chiave è che questo sbilanciamento nella gestione delle questioni domestiche, sebbene si tratti di una tendenza in calo, non si limita ad una dimensione organizzativa, ma può avere conseguenze anche sulla salute.
Le “giuste” ore di lavoro
Il primo strumento a disposizione, per far sì che le conseguenze dell’eccesso di lavoro non si trasformino in patologie concrete, risiede nella normativa nazionale ed internazionale, che mira a regolamentare le ore di lavoro giornaliere e settimanali, secondo degli standard di sicurezza sanitaria.
L’orario di lavoro secondo la legge
Già nel 1921, infatti, è stata emanata dall’International Labour Organization (ILO) una convenzione che fissa un tetto massimo all’orario lavorativo. Impone infatti un limite giornaliero a 8 ore e uno settimanale a 48 ore, salvo deroghe determinate nei vari stati che hanno aderito al documento tra i quali non c’è l’Italia. Nel Belpaese la questione è regolata dalla “Legge Treu” del 1997, integrata da due decreti legislativi successivamente nel 2003 e nel 2010. Di fatto, si distingue l’orario tra lavoro normale e straordinario, ponendo il limite, solo nel primo caso, a 40 ore settimanali, 48 se includiamo entrambe le tipologie. Le prassi sono molto diverse se ci spostiamo in altri paesi europei: come vi abbiamo raccontato in un articolo, lavorare in Olanda, ad esempio, sembra sia molto meno stressante che in altre nazioni.
Cosa dicono gli studi?
Al di là dell’aspetto normativo, dal punto di vista sanitario quale sarebbe l’orario di lavoro sicuro e ideale? A questa domanda prova a rispondere uno studio dell’Australian National University Research School of Population Health, che ha analizzato oltre 8.000 casi di lavoratori di vari settori. I dati raccolti consentono di fissare a 39 ore a settimana la soglia critica oltre la quale emergono i primi problemi di salute. Anche i ricercatori australiani evidenziano come vi sia una sostanziale differenza tra uomini e donne: i primi, infatti, potrebbero lavorare fino a 47 ore, mentre per le seconde già superare le 34 potrebbe determinare alcuni problemi.
Prendersi cura del benessere dei dipendenti: il welfare aziendale
Se è vero che il lavoro può essere la causa principale di di problemi di salute, burnout, difficoltà a conciliare famiglia e lavoro, è anche vero che spesso sono le stesse aziende a farsi promotrici di uno stile di vita sano e di una cultura della prevenzione. Anche in Italia, ad esempio, crescono le imprese che, cavalcando l’onda dei vantaggi (anche fiscali) che possono derivare dall’attivazione di un piano welfare, offrono ai loro dipendenti dei servizi che contribuiscono sensibilmente a migliorare non solo il loro approccio al lavoro, ma anche la qualità della loro vita.
Strategie che vanno a modificare l’orario e la modalità di lavoro, come lo smart work e una maggiore flessibilità secondo le esigenze individuali, ma anche servizi specifici per la tutela della salute, come polizze sanitarie e servizi di sanità integrativa, sono ormai realtà in molte piccole e grandi realtà economiche del nostro paese. Molte aziende si sono rese conto, infatti, che prendersi cura dei propri dipendenti e promuovere una cultura della prevenzione non è soltanto una scelta nell’interesse del lavoratore, ma anche un beneficio per la produttività dell’impresa, consapevole del fatto che il capitale umano è la sua risorsa più preziosa.
Le coperture sanitarie, talvolta comprendono sconti per accedere a visite specialistiche, esami ed accertamenti diagnostici, prezzi agevolati per trattamenti fisioterapici e molte altre alternative che rispondano alle esigenze del dipendente.
Esistono inoltre soluzioni, come quelle offerte da SiSalute, marchio di UniSalute Servizi, che permettono di offrire al dipendente e alla sua famiglia un pacchetto di benefits nell’ambito della sanità che allevia molti pensieri: dalla prenotazione della visita ai tempi di attesa fino alla spesa vera e propria in ambito sanitario.
Minori preoccupazioni riguardo alla propria salute, minori tempi di attesa per esami e visite e maggior flessibilità dell’orario di lavoro fanno, contemporaneamente, la soddisfazione del datore di lavoro e del dipendente. Infatti, un lavoratore sano è più felice e produttivo, e riduce sensibilmente i rischi determinati dal troppo lavoro: una situazione in cui tutti abbiamo da guadagnare e nessuno da perdere, un’opportunità importante da non sottovalutare proprio perché al centro c’è la salute.
Nessun commento