fare stretching

L’importanza dello stretching e la differenza tra statico e dinamico 

Letteralmente, la parola stretching significa “allungarsi”: lo stretching è infatti quella specifica attività fisica che prevede l’allungamento muscolare per il mantenimento di uno stato sciolto e disinvolto della flessibilità e della mobilità corporea.  

Generalmente, viene fatto prima e dopo l’attività sportiva, ma può essere un ottimo alleato anche nella quotidianità, ad esempio per sciogliere tensioni dovute a rigidità posturali dovute, per esempio, alle tante ore che si passano seduti nella stessa posizione.

Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando ci siamo rivolti a Marialisa Petrucci, professionista laureata in Scienze Motorie, chinesiologa, preparatrice atletica e personal trainer. Grazie al suo prezioso contributo, oggi avremo occasione di parlare del ruolo dello stretching, approfondendo dettagli e caratteristiche delle due tipologie maggiormente utilizzate statico e dinamico – per osservarne le differenze.

Fare stretching: perché è così importante e quali benefici porta?

Come abbiamo anticipato, quando parliamo di “stretching” facciamo riferimento a quell’insieme di esercizi che hanno come finalità l’allungamento dei muscoli, al fine di aumentare l’elasticità muscolo-tendinea e incentivare quindi la flessibilità e mobilità del corpo.

Lo stretching sollecita le fibre muscolari, il tessuto connettivo (ovvero tendini, fascia, legamenti, ecc.), la struttura ossea e articolare, portando ad alcuni importanti benefici. Tra questi:

  • aumento della flessibilità, elasticità e mobilità articolare. Il corpo viene “educato” a movimenti che rispettano l’unicità del soggetto e viene stimolato a un lavoro attivo, utile sia prima dell’allenamento, per scaldarsi, che dopo, per rilassarsi, allungarsi e riportare uno stato di “equilibrio muscolare”.
  • Riduzione delle tensioni muscolo-tendinee: questo è necessario sia, come detto, prima e dopo un allenamento sportivo, sia nella vita quotidiana per il miglioramento della postura.
  • Miglioramento graduale delle limitazioni che si hanno perché il corpo si abitua a compiere movimenti che agevolano la mobilità per ristabilire la funzione deputata.
  • Sensazione di benessere sia fisico che psicologico su alcune persone.
benefici stretching

fizkes/gettyimages.it

Le diverse tipologie di stretching: quali le principali differenze?

Questa pratica fu formalizzata nel 1975 da Bob Anderson, ex corridore americano che, prendendo spunto dallo yoga e da altre discipline orientali, ha sviluppato questa pratica, che ha poi continuato a evolversi negli anni dividendosi, principalmente, in quattro tipologie:

  • Stretching Balistico, molto utilizzato in passato, prevedeva di allungare i muscoli molleggiando nel momento della tensione. Nel tempo e grazie alla pratica, questa modalità di stretching è stata quasi del tutto eliminata – e oggi è fortemente sconsigliata – perché mette a rischio l’integrità dei muscoli e delle articolazioni.
  • Stretching Statico, come approfondiremo tra poco, consiste nell’assumere una posizione di allungamento e mantenerla per alcune decine di secondi.
  • Stretching Dinamico, che prevede – come vedremo – l’aumento progressivo dell’estensione, controllando movimenti e oscillazioni.
  • Stretching Isometrico, tipologia che richiede allungamenti e contrazioni continue, al fine di ottenere una distensione sempre maggiore.

Approfondiamo ora le differenze tra stretching statico e dinamico, le due varianti più diffuse e utilizzate, per comprendere al meglio di cosa si tratta e in quali casi è consigliata l’una o l’altra modalità.

Stretching statico: di cosa si tratta?

Si tratta della tipologia più conosciuta, anche per la facilità di esecuzione. Con stretching “statico” si intende infatti l’allungamento graduale di un muscolo alla volta, con il mantenimento della posizione allungata per 30 secondi e oltre.

Come afferma Marialisa Petrucci, ciò che è davvero fondamentale nella fase di stretching – così come durante tutto il ciclo dell’allenamento – è mettere al centro le caratteristiche specifiche della persona, considerando con attenzione la funzione biomeccanica che si desidera ottenere, potenziare o stimolare. “Proprio per questo”, spiega Petrucci, “lo stretching statico rischia di essere una pratica un po’ sopravvalutata: allungare un muscolo alla volta non tiene davvero conto né delle peculiarità del singolo individuo, né della reale necessità del corpo. L’essere umano, infatti, non muove i muscoli singolarmente, ma è sempre all’interno di un flusso”.

Lo stretching dinamico, come vedremo successivamente, è quindi più propedeutico sia all’allenamento che allo svolgimento corretto delle attività quotidiane.

Osserviamo più da vicino pro e contro della pratica statica, per comprendere quando, effettivamente, può essere indicata, per chi e in che modalità.

stretching-statico

PeopleImages/gettyimage.it

Pro e contro dello stretching statico

Alla luce di una recente ricerca sullo stretching statico e di uno studio sugli effetti a esso collegati, appare sempre più chiaramente che questo tipo di esercizio:

  • può essere adatto per tutte quelle persone che praticano sport e attività fisiche dove è richiesta una forte pulizia del movimento e un allungamento delle linee corporee, ad esempio perché viene valutata la componente estetica. Stiamo parlando di danza, ginnastica artistica, ritmica, e così via.
  • Svolto prima dell’allenamento, non migliora le performance sportive, non previene infortuni e traumi come le contratture, e non impedisce la formazione di acido lattico. Pre-allenamento, lo stretching statico può essere addirittura dannoso, se fatto freddo, perché può provocare microlesioni, specialmente se si fanno attività basate sulla forza esplosiva. Questa tipologia di stretching, infatti, riduce la capacità del muscolo di ri-accorciarsi rapidamente dopo l’allungamento, disperdendo quindi le sue capacità elastiche.
  • Generalmente, quindi lo stretching statico è consigliato post-allenamento come defaticamento, pur non essendo così utile per alleviare i dolori muscolari post-allenamento, per i quali invece sarà più indicato un trattamento specifico con un professionista. 

Stretching dinamico: caratteristiche e vantaggi

“Lo stretching dinamico”, prosegue  Marialisa Petrucci, “rispetto a quello statico garantisce una preparazione più adeguata all’attività fisica, predisponendo il corpo a compiere la funzione richiesta dalla specifica prestazione che si va a svolgere”.

Questa tipologia, infatti, prevede l’allungamento dei muscoli per non più di 5-6 secondi all’interno di un movimento complessivo, aumentando progressivamente la mobilità articolare, la velocità di esecuzione dei movimenti, o anche entrambi in modo combinato.

stretching-dinamico

filadendron/gettyimages.it

Lo stretching dinamico è quindi un insieme di gesti e posizioni simili al tipo di attività fisica che si andrà a compiere successivamente, e quindi maggiormente propedeutico.

Ad esempio, un giocatore di basket, durante un allenamento o una partita, non compie solo allungamenti: dovrà piegarsi, contrarsi, e poi allungarsi in modo esplosivo, saltare e atterrare. Ecco perché avrà necessità di preparare il suo corpo a compiere tutti questi movimenti, che non sono solo basati sulla tensione del muscolo in allungo, e non coinvolgono solo – come accennato prima – singoli muscoli o tendini, ma interessano l’intero sistema fisico.

Proprio per questo, quando si parla di stretching dinamico, ci dice Marialisa Petrucci, s’intende una tipologia di stretching sistemico, che lavora con attenzione sulle catene cinematiche, ovvero l’insieme di fasce, tessuti, articolazioni, tendini e muscoli che collegano i diversi distretti di tutto il corpo. Si ottiene così un’attività fisica costituita da un insieme di movimenti eseguendo i quali si mantiene in salute il nostro apparato locomotore e si lavora con attenzione sull’obiettivo di benessere e prestazione fisica che si è preposti.

Il concetto di “mostability

“Riguardo al tema dello stretching”, prosegue Marialisa Petrucci, “stiamo cavalcando l’onda di un cambio di visione, in cui il corpo viene valutato e allenato in un’ottica globale di movimento funzionale”.

Per questo, i problemi di flessibilità e mobilità non vanno affrontati con processi statici, ma con il movimento: quindi, con esercizi attivi, di mobilità, di forza e propriocezione – la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio –, in modo da dare sempre più input ai recettori che comunicano al sistema nervoso centrale stimoli di deformazione, tensione, pressione, velocità, eccetera.

A proposito di questa concetto innovativo, Gary Gray – insieme ad altri studiosi del Gray Institute, struttura dedicata alla training education, di cui è CEO – hanno coniato il termine “mostability”, che fonde la mobilità e la stabilità, considerandoli come principi della funzione umana, ovvero “la giusta quantità di movimento alle articolazioni giuste nei piani di movimento giusti nel momento giusto”.

Mobilità senza stabilità, e viceversa, portano a movimenti di scarsa qualità e a potenziali lesioni: per ciascun gesto c’è una combinazione ottimale di queste due componenti, che produce quindi una migliore abilità nel compiere gesti.

Nello specifico:

  • la mobilità, come abbiamo detto, coinvolge i muscoli e le componenti fasciali, connettivali e muscolo-tendinee-articolari attraverso il movimento ed è la capacità, l’arco di movimento, che ogni articolazione ha di muoversi;
  • la stabilità da non confondere con la staticità – è la capacità del corpo di mantenere una determinata posizione anche in condizioni di movimento e se sottoposto a forze esterne

La combinazione di questi due elementi, specifica Marialisa Petrucci, dà quindi vita alla mostability: alla luce di questa nuova visione, la comprensione dell’organizzazione del movimento sarà strettamente collegata alla componente connettivale – ovvero la fascia muscolare – che unisce tutto il corpo in un continuum tridimensionale.

mostability

Anchiy/gettyimages.it

Mostability: un caso pratico

La mostability è, ad esempio, la chiave per diventare corridori migliori: chi corre è sempre alla ricerca di un equilibrio tra il miglioramento della velocità e delle prestazioni, evitando contemporaneamente fastidiosi infortuni da uso eccessivo che possono escludere da grandi gare. Mentre le routine di forza e lo stretching costante sono pezzi importanti dell’intero puzzle, la chiave per raggiungere l’equilibrio come corridore è la capacità di combinare con successo stabilità, ovvero forza, e mobilità, ovvero movimento. In una parola: mostability.

In che modo, quindi, questo influisce sui corridori? Marialisa Petrucci ci guida alla comprensione di questo concetto innovativo spiegandoci che “l’anca è un’articolazione dinamica che può – e dovrebbe – muoversi su tutti e tre i piani di movimento (sagittale, frontale, trasversale) per sfruttare l’azione dei glutei, il gruppo muscolare più grande del corpo, ovvero i ‘migliori amici’ di un corridore. È qui che entra in gioco la mostability”.

Se un corridore non ha la libertà di movimento dell’anca in uno dei tre piani di movimento, allora non è in grado di caricare e reclutare con successo i suoi glutei. Mobilità senza stabilità pone le basi per prestazioni scadenti, infortuni o entrambi.

Comprendiamo quindi, prosegue Petrucci, che gli esercizi di stretching o di rafforzamento, da soli, non sono sufficienti per ottenere una buona mostability: i corridori dovrebbero allenare la mobilità e la stabilità in modo funzionale, ovvero iniziando con esercizi di mobilità dinamica e finendo con esercizi che mettono alla prova la capacità dei loro muscoli di controllare questa nuova gamma di movimento.

Tutti gli specialisti del movimento devono determinare se il loro cliente manca di mobilità, stabilità o di entrambi: dopo aver identificato i deficit che inibiscono la funzione, è necessaria una strategia logica e tarata sul soggetto in questione.

Come valutare la miglior tipologia di attività di stretching?

“Per comprendere la modalità di stretching più adatta per ciascuno”, prosegue Marialisa Petrucci, “è quindi fondamentale elaborare un programma ad hoc per ogni persona che decide di sottoporsi ad attività fisica, e che quindi sperimenta anche lo stretching. Se si vogliono ottenere buoni risultati, che siano quindi davvero propedeutici allo svolgimento di esercizi ginnici e al benessere del corpo, non possono esistere soluzioni uguali per tutti e tutte: proprio per questo è fondamentale affidarsi a un professionista”.

Per elaborare una buona routine di stretching è infatti fondamentale valutare:

  • qual è il contesto di partenza
  • quale intensità la persona è in grado di sostenere o vuole raggiungere
  • quale frequenza di allenamento vuole – o può – praticare
  • che livello di qualità e specificità dei gesti è necessaria a quel determinato soggetto sia per la preparazione sportiva che per lo svolgimento delle funzioni quotidiane.

Solo dopo questo tipo di analisi sarà possibile capire quale insieme di movimenti è più adatto e quali esercizi possono essere necessari.

stretching

AzmanL/gettyimages.it

L’importanza di un allenamento funzionale

Come abbiamo visto, entrambe queste tipologie di stretching concorrono al miglioramento di alcune funzioni corporee, ed è importantissimo sapere quando è più indicata compiere un tipo di esercizio statico oppure dinamico, ben consapevoli dei pro e dei contro.

“È fondamentale considerare anche lo stretching”, afferma Petrucci, “all’interno di un tipo di allenamento funzionale, ovvero l’allenamento che porta il soggetto a essere abile per la funzione a cui è destinato o all’obiettivo che vuole raggiungere”.

Può trattarsi di una performance sportiva, o del miglior svolgimento di attività quotidiane: in ogni caso, si andrà a elaborare un insieme di esercizi e di stretching con precisi obiettivi funzionali dove, per esempio, si andranno a replicare movimenti che si svolgono ogni giorno, al fine di renderli sempre migliori.

“Sarebbe davvero importante giungere ad inserire, nella nostra cultura sanitaria e nella nostra quotidianità”, conclude Marialisa Petrucci, “il concetto di una vera e propria ‘igiene del movimento’ – proprio così come quella dentale, ad esempio – condizione nella quale il corpo, abituandosi a muoversi in modo corretto, pian piano incamera le giuste modalità di movimento, e si sente quindi più forte e sicuro”.

Inoltre, è importante considerare che eseguendo un movimento che rispetti le caratteristiche individuali e le potenzialità del soggetto e assumendo sempre più consapevolezza della proprie capacità fisiche diminuiscono anche i rischi di infortunio, specialmente durante l’attività sportiva, sia di elevata che di bassa intensità.

Come sa bene chi pratica sport, è comunque fondamentale fare riferimento a professionisti di fiducia, come personal trainer, preparatori atletici e fisioterapisti che sappiano accompagnare l’atleta durante il percorso di raggiungimento dei propri obiettivi.

È inoltre molto importante potersi rivolgere a specialisti anche in caso di problematiche, dolori o infortuni: a questo proposito può essere utile sapere che esistono agevolazioni sanitarie, come la Card Fisioterapia di SiSalute, marchio di UniSalute Servizi, che prevede di accedere a trattamenti riabilitativi a prezzi agevolati e sconti presso strutture convenzionate.

E voi, praticate stretching? Se sì, di che tipo e con che obiettivo?

 

Altre fonti:

cusb.unibo.it
paginemediche.it
salute.gazzetta.it
researchgate.net
pubmed.ncbi.nlm.nih.gov
grayinstitute.com

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post

    Nessun commento