Coronavirus immunità di gregge

Coronavirus: ha senso sperare nell’immunità di gregge?

In tutto il mondo il numero di casi di Coronavirus è salito quasi a 500.000. Molti Paesi stanno adottando misure di contenimento e sicurezza simili a quelle dell’Italia, con la chiusura quasi totale di molte attività, per cercare di limitare il contagio e non sovraccaricare il sistema sanitario, che sta affrontando una prova dura. Tra i temi maggiormente discussi c’è quello dell’immunità di gregge, un concetto che abbiamo approfondito con l’aiuto del dottor Fausto Francia, epidemiologo, Direttore sanitario del Centro Diagnostico Chirurgico Dyadea e Membro del Comitato Scientifico di UniSalute.

Immunità di gregge: che cos’è? 

L’espressione immunità di gregge è la traduzione dell’anglosassone ‘herd immunity’ e indica, come spiega l’intervistato, una situazione in cui, all’interno di una determinata popolazione, un certo numero di persone diventa immune a una malattia. Questo può verificarsi per due motivi differenti: 

  • gli individui sono stati vaccinati
  • si sono ammalati, sono guariti e sono diventati immuni.
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Manit Chaidee/gettyimages.it

Come spiega il dottor Francia, in un contesto del genere l’epidemia non può svilupparsi, si blocca quasi immediatamente perché chi è immune non trasmette. “Quando c’è l’immunità di gregge, non ci troviamo di fronte a cluster, ovvero gruppi di persone ammalate vicine, come famiglie intere o comunità molto ristrette: è una situazione ideale, in cui ci sono soltanto pochi casi e il sistema sanitario non incontra difficoltà nella loro gestione”. 

Due esempi rilevanti a cui poter fare riferimento sono virus del vaiolo e del morbillo. Per quanto riguarda il primo, “l’immunità di gregge è stata raggiunta a livello mondiale: nel 1980, infatti, l’OMS ha dichiarato scomparsa questa malattia. Una situazione ben diversa da quella del morbillo in Italia nel 2017. In quell’anno, infatti, ci sono stati 5000 casi. Si tratta di una malattia estremamente contagiosa, per cui si raggiunge l’immunità di gregge quando almeno il 95% della popolazione è immune. Purtroppo c’è stata un’evasione massiccia della raccomandazione vaccinale e la copertura è scesa al 90-85%. L’immunità di gregge, che era stata raggiunta tempo addietro, si è persa, e la malattia è tornata a colpire molte persone. Con l’introduzione dell’obbligo vaccinale si è tornati rapidamente alla copertura ideale”.

L’immunità di gregge nel caso del Coronavirus

Come rafforzare il sistema immunitario

Come sottolineato dal dottor Francia, nel caso del Covid-19 raggiungere l’immunità di gregge vorrebbe dire che gran parte della popolazione ha contratto la malattia, poiché non esiste ancora un vaccino. “Auspicare il raggiungimento della herd immunity – precisa l’intervistato – come è stato inizialmente fatto da alcuni Paesi, potrebbe reggere a livello scientifico, ma sicuramente non sul piano etico. Infatti, poiché in un caso simile non si cerca di arginare la malattia, le persone si ammalerebbero tutte insieme e i casi gravi non avrebbero più accesso alle strutture e alla rianimazione”. 

L’epidemiologo spiega che per ogni virus l’immunità di gregge è rappresentata da una specifica percentuale, che varia a seconda dell’aggressività e ai casi secondari che si sviluppano da quello primario. “Il morbillo, per esempio, è una malattia virale estremamente contagiosa, e da un caso se ne possono sviluppare anche 15. Per il Covid-19 si è valutato che un caso ne produce circa 3, quindi è stato calcolato, attraverso specifiche formule matematiche, che l’immunità di gregge si raggiungerà quando il 65-67% della popolazione avrà gli anticorpi nei confronti del Coronavirus”. Raggiunta questa situazione, non ci saranno più escalation rapide di casi all’interno di una comunità, come è accaduto per esempio nel comune di Medicina, in provincia di Bologna. 

Cosa succederà prima che arrivi il vaccino per il Coronavirus?

coronavirus cura

Alla luce di queste considerazioni, abbiamo chiesto al dottor Francia che cosa possiamo aspettarci che avvenga nell’immediato futuro. “Le previsioni si basano su modelli matematici. Quasi tutti prevedono che un’epidemia di questo tipo duri circa 4 mesi – risponde l’intervistato. – Entro fine maggio dovremmo ipoteticamente tornare a una situazione gestibile, con pochi casi, in cui gli ospedali non saranno più intasati. Dovremmo però mantenere un sistema di sorveglianza strettissimo, perché bisognerà intervenire subito qualora una persona manifesti i sintomi, mettendo in isolamento sia lei che i familiari. Dovrà esserci, quindi, uno stretto legame con i medici di famiglia, che devono trasmettere le informazioni ai dipartimenti di prevenzione. Bisognerà rintracciare tutti i contatti, nel caso di contagio, creare un cordone sanitario”. 

Come spiega l’epidemiologo, il nostro Paese risente di una situazione in cui, nel corso degli anni, “tutti i servizi di prevenzione sono stati depauperati, perché il rischio di una pandemia sembrava remoto. Chi si occupava di malattie infettive è stato spesso messo in disparte, in momenti di ristrettezza, sono state fatte delle scelte, del tutto comprensibili, ma che hanno portato alla situazione in cui ci troviamo oggi. Secondo accordi nazionali bisognerebbe spendere in prevenzione il 5% del finanziamento nazionale sulla sanità, ma si arriva intorno al 4%: circa 1 miliardo di euro viene tolto alla prevenzione per essere destinato ad altri settori. Una scelta che non ha pagato, per cui spero ci sia un’inversione di tendenza, perché continuare a tenere la guardia alta fino a quando non ci sarà un vaccino sarà difficile. Anche quando arriverà il vaccino, ipotizzando un tempo di un anno e mezzo almeno, tutti gli Stati vorranno averlo e non è detto che avrà un’efficacia elevata, perché non è stato studiato a fondo”. 

È possibile contrarre il Coronavirus una seconda volta?

Un’ulteriore preoccupazione relativa al Coronavirus, è che ci si possa ammalare di nuovo dopo aver già contratto il virus. A questo proposito, il dottor Francia specifica che potrebbe trattarsi di casi molto rari oppure di pazienti ancora non del tutto guariti, ma bisogna sempre indagare a fondo e capire che cosa è accaduto. “Di certo dovremo indagare meglio, e lo faremo in tempo di pace, ma personalmente non credo ci sia da aver paura di un’eventualità del genere, in questo momento. Quando ci si ammala, di solito non si contrae di nuovo la stessa malattia a breve distanza, una volta guariti. Ma non sempre c’è una immunità definitiva: nel caso della pertosse, per esempio, non accade, mentre il morbillo si contrae una sola volta”, conclude.

Come ha ricordato il dottor Francia, una volta passata la fase critica che stiamo affrontando, per combattere il rischio che nascano nuovi focolai del virus sarà fondamentale continuare un attento monitoraggio a livello nazionale. Anche le azioni del singolo, però, restano di grande importanza, per questo motivo l’invito è di informarsi in modo consapevole e agire in maniera responsabile. 

Per approfondire ulteriormente l’argomento coronavirus, consigliamo la lettura di alcuni articoli, pubblicati dal nostro blog sull’argomento:

 

 

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