In occasione del World Tb Day 2017, che ogni anno ricorre il 24 marzo, abbiamo quindi deciso di affrontare un argomento ancora vivo, anche negli stati europei. Vediamo cos’è la tubercolosi, quali sono i suoi sintomi e quali sono le strategie adottate a livello globale per debellarla.
Cos’è la tubercolosi?
La tubercolosi è una malattia infettiva, causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis, conosciuto anche come Bacillo di Koch, dal nome dello scienziato che lo scoprì nel 1882. La forma più diffusa è senza dubbio la tubercolosi polmonare, ma può interessare anche altri organi. In questo caso, si parla di tubercolosi extrapolmonare, un’infezione che può colpire varie parti del corpo, quali:
- la pleura
- il sistema linfatico
- l’apparato genito-urinario
- la pelle
- la colonna vertebrale
Più grave e, per fortuna, molto più rara, è la tubercolosi miliare, che costituisce il 10% dei casi di tubercolosi extrapolmonare e che interessa contemporaneamente tutto l’organismo.
Come si contrae la tubercolosi polmonare?
La trasmissione della tubercolosi polmonare, che come abbiamo detto è la forma più diffusa, avviene per via aerea, tramite colpi di tosse o starnuti: da quel momento comincia il periodo di incubazione, che può durare dalle 8 settimane all’intera durata della vita dell’individuo contagiato. Il virus, a quel punto, può rimanere latente o trasformarsi in tubercolosi attiva, evento che si verifica con maggior probabilità entro 2 anni dal contagio, o entro i 5 anni, come accade al 50% delle persone che contraggono la malattia.
Tuttavia, per le persone venute a contatto con il batterio, il rischio che questo si “risvegli” facendo progredire l’infezione rimane comunque presente tutta la vita.
Queste informazioni però non devono allarmarci più del dovuto, perché solo una minoranza dei soggetti che contraggono l’infezione subisce il decorso della malattia: la maggior parte di essi, per fortuna, resta nello stato di latenza, e non corre il rischio di contagiare altre persone.
Tubercolosi: diagnosi e sintomi
Non è facile riconoscere la tubercolosi polmonare, perché i suoi sintomi, soprattutto in fase iniziale, sono abbastanza vaghi: si manifesta infatti con tosse, dolore toracico, febbre e perdita di peso. Solo in una fase più avanzata, cioè dopo settimane o dopo mesi, appaiono i primi segni di un disturbo più serio, il più evidente dei quali è la presenza di sangue nell’espettorato.
In alcuni casi, per lo più nei Paesi in via di sviluppo, il virus della tubercolosi fa la sua comparsa insieme a quello dell’HIV: i sintomi della malattia sono allora meno visibili, e si manifestano in genere, purtroppo, solo quando quest’ultima infezione, già in stato avanzato, lascia il soggetto povero di difese immunitarie.
In tutti i casi, una volta identificati i sintomi, per diagnosticare la malattia è necessario effettuare il test della tubercolina (Mantoux): se l’esito è positivo, il passo successivo sarà quello di verificare la presenza, o l’assenza, dell’infezione nei polmoni, per mezzo di una radiografia toracica di un esame diretto dell’espettorato.
A queste procedure “classiche” nel corso degli anni, se ne sono aggiunte altre più sofisticate, che permettono di effettuare una diagnosi più specifica.
Come si cura la tubercolosi?
Fino alla metà del secolo scorso non esistevano terapie efficaci contro il batterio, una lacuna scientifica che per fortuna è stato ampiamente colmata: oggi la tubercolosi, nella maggior parte dei casi, può essere curata mediante la somministrazione di antibiotici.
I farmaci utilizzati sono l’isoniazide, la rifampicina, la pirazinamide, la streptomicina e l’etambutolo, combinati tra loro in modo differente a seconda delle specifiche condizioni cliniche del paziente.
La terapia è molto lunga: può durare dai 6 ai 24 mesi, e deve essere applicata scrupolosamente, prestando molta attenzione alle indicazioni dei medici riguardo alle dosi e al numero di somministrazioni. Diversamente, il batterio può sviluppare una forma di adattamento ai farmaci che lo rende resistente alle cure.
Fatte salve queste raccomandazioni, quindi, la malattia può essere debellata con successo ad eccezione di un caso: quello della MDR-TB, una forma di tubercolosi resistente all’isoniazide e alla rifampicina, gli antibiotici più efficaci contro l’infezione.
Le possibilità di successo aumentano chiaramente se la diagnosi è precoce, ecco perché è importante conoscere e riconoscere i sintomi della tubercolosi, ma soprattutto adottare delle pratiche di prevenzione, a livello globale, che consentano di circoscrivere la diffusione malattia.
Prevenire la tubercolosi: quali misure vengono adottate a livello globale?
I dati riportati dal “Global tubercolosis report 2016”, l’ultimo rapporto annuale effettuato dall’OMS sulla malattia, ci parlano di una epidemia fortunatamente in decrescita a livello globale, che tuttavia si concentra in maniera preoccupante in 6 Paesi in via di sviluppo: India, Indonesia, Cina, Nigeria, Pakistan e Sud Africa. Dei 10,4 milioni di nuovi casi stimati nel 2015, il 60% è stato riscontrato proprio in queste nazioni.Tra il 2014 e il 2015, l’incidenza della tubercolosi è diminuita solo dell’1,5%: un dato che l’OMS si propone di migliorare a breve termine per giungere, entro il 2020, ad una riduzione del 4-5%.
Per arginare e ridurre l’avanzata della tubercolosi, l’OMS studia periodicamente, un piano di azione strategico a livello globale. L’ultimo, “Post-2015 Global TB Strategy”, risale al 2015 ed è rivolto a tutti gli Stati membri dell’OMS e ai Paesi alleati nella lotta contro la tbc: ad essi, l’OMS chiede di applicare le misure e le strategie consigliate, adattandole al contesto e alle esigenze dello Stato.
La strategia europea contro la tubercolosi
Anche a livello europeo è stato elaborato il Piano d’azione, il Tuberculosis Action Plan for the WHO European Region 2016-2020). Proprio come il Post 2015 Global TB Strategy, esso definisce e suggerisce agli Stati europei le attività da attuare per circoscrivere la malattia ed arginare la diffusione della Mdr-Tb che, come abbiamo accennato, è una forma di tubercolosi molto difficile da trattare, da cui meno del 50% dei soggetti colpiti riesce a guarire.
La strategia proposta dal piano per arrestare la diffusione della malattia è quella di garantire in tutti gli Stati della regione un accesso universale alle pratiche di prevenzione, alla diagnosi e alle terapie. Pertanto, entro il 2020 il piano si pone l’obiettivo di:
- ridurre del 35% i decessi per Tb;
- ridurre del 25% l’incidenza della Tb;
- aumentare del 75% i casi di successo tra i soggetti affetti da Mdr-Tb.
Tutti risultati che possono essere perseguiti solo migliorando le strategie d’azione, a livello di cura, prevenzione e ricerca, e mettendo in condivisione le conoscenze e le esperienze maturate da ogni paese europeo. A tal fine, l’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS
ha raccolto e diffuso un documento che raccoglie 45 esempi di “Buone pratiche nel rafforzare i sistemi sanitari per la prevenzione e cura della Tb e della Tb farmaco-resistente”, attuate da 21 paesi.
La tubercolosi è ancora presente in Italia?
In Italia, l’incidenza della malattia è relativamente bassa: sempre secondo il report OMS, i casi registrati nel 2015 sarebbero 3796, 120 dei quali di tubercolosi multiresistente. I decessi invece, secondo le stime, si aggirano intorno ai 350 per anno, ovvero quasi un decesso al giorno: un numero non allarmante, dal momento che entro la soglia dei 10 casi/100.000 abitanti, un Paese è definito dall’OMS come “a bassa endemia”. Proprio per questo, la vaccinazione contro la tubercolosi nel nostro Paese non è obbligatoria, se non per i soggetti considerati a rischio, cioè per neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, che vivono a stretto contatto con persone affette da tubercolosi, nonché per chi opera in ambito sanitario o in ambienti ad alto rischio di esposizione ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti.
Infine, vale la pena di sottolineare che, al di là degli allarmismi talvolta fomentati dai media, non vi è alcuna relazione tra i numeri della tubercolosi in Italia e i numerosi sbarchi dei migranti sulle coste del nostro Paese. Nel 2011 infatti, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con le Regioni, hanno attivato presso tutti i centri di accoglienza distribuiti nel nostro Paese un’attività sorveglianza sindromica. Il report finale sullo stato di salute dei migranti accolti, rivela che tra marzo e settembre 2015 nei Centri per Immigrati interessati sono stati riscontrati solo 3 casi di sospetta tubercolosi polmonare.
Se avete domande da porci su questo argomento, lasciateci un commento: faremo di tutto per rispondervi nel modo più esaustivo!
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