Parenting: la qualità delle cure genitoriali e lo stile educativo per la crescita e la formazione dell’identità del bambino

I genitori esercitano una grande influenza sulla vita dei figli: il loro ruolo è quello di aiutare i bambini ad apprendere e sviluppare una scala di valori che li accompagnerà per tutta la vita. È normale, quindi, da parte di un genitore, voler assicurare ai figli le migliori possibilità, ma è anche giusto che saper riconoscere le inclinazioni dei bambini e assecondarne la personalità, gli obiettivi, il temperamento, anche quando il percorso che i figli intraprendono sembra discostarsi dalle aspettative degli adulti. Il termine parenting definisce proprio il processo relazionale tra bambino e genitore, nel quale quest’ultimo pensa e vede se stesso come una figura chiamata a rispondere a bisogni come sicurezza, sostegno e amore. Con l’aiuto della dottoressa Elisabetta Scalambra, psicologa e psicoterapeuta, in questo articolo parleremo di come funziona il parenting e di quanta importanza abbiano le cure genitoriali nella crescita del bambino. 

Parenting: in cosa consiste questo processo?

Per prima cosa, la dottoressa ricorda che “il parenting, processo attraverso il quale le persone si approcciano a diventare genitori, non è automatico con l’arrivo in famiglia di un bambino, ma è un percorso che l’individuo compie attraverso pensieri e immagini di sé nel ruolo di genitore. Questa elaborazione è correlata, in parte, all’immagine dei propri genitori, al tipo di rapporto che si ha con loro, allo stile relazionale che si è sviluppato negli anni e all’immagine di sé, come figli”.

Vedere se stessi nel ruolo genitoriale, quindi, non è qualcosa di immediato e semplice, ma di estremamente complesso e che vede entrare in gioco numerosi elementi. In un mondo in rapida evoluzione, inoltre, la genitorialità è soggetta a mode che riguardano i modelli più diffusi e può essere addirittura oggetto di competizione. Accompagnare un figlio nella crescita, facendolo sentire amato e al sicuro, è una sfida continua.

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“Essere genitori non vuol dire solamente mettere in pratica regole educative, di comportamento e valoriali”, sottolinea la dottoressa Scalambra, “ma implica consapevolezze e abilità che si vanno via via scoprendo, conoscendo e confermando nel tempo, anche mentre si esercita il proprio ruolo. Spesso, con un po’ di presunzione, l’adulto tende a convincersi di possedere tutte le capacità necessarie alla cura e all’accudimento di un figlio, per poi rendersi conto che solo vivendo l’esperienza si sviluppa la capacità empatica, si entra in relazione e si comprendono dinamiche che fino a quel momento non erano prevedibili. Allo stesso modo, le emozioni e le reazioni a fronte delle più svariate situazioni, anch’esse imprevedibili, richiedono al genitore non solo di essere presente, ma anche di gestire o affrontare realtà contingenti, che non riguardano il rapporto con il figlio.” 

Per quanto una coppia genitoriale si prepari a svolgere questo ruolo, inoltre, nel momento in cui arriva un bambino il rapporto cambia, perché coinvolge una terza persona. “È quindi necessario riorganizzare la quotidianità e con essa vanno messe in conto modifiche sia da un punto di vista organizzativo che logistico e relazionale”, ricorda la dottoressa Scalambra. 

Le funzioni genitoriali nell’ambito del parenting

Nell’esercitare il suo ruolo, il genitore, così come ogni altra figura di accudimento, assolve a diverse funzioni: 

  • protettiva
  • affettiva
  • regolativa 
  • normativa
  • significante
  • predittiva
  • rappresentativa e comunicativa
  • fantasmatica
  • triadica.

Vediamo in cosa consiste ognuna di esse.

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La funzione protettiva 

In questa funzione rientrano i comportamenti con cui il genitore offre delle cure in risposta ai bisogni di un bambino, soprattutto a quello di protezione fisica e di sicurezza. 

La funzione affettiva 

Riguarda la capacità di strutturare il “mondo degli affetti” dei figli, attraverso i legami significativi con gli adulti, che dovrebbero essere in grado di generare emozioni positive.

La funzione regolativa 

Ha a che fare con la possibilità che i genitori danno al bambino di segnalare i suoi bisogni o gli stati emotivi, e la reazione conseguente. Se le risposte genitoriali sono troppo rapide, il figlio potrebbe non avere il tempo di manifestare ciò che prova, ma ci sono anche casi in cui la risposta è carente o non c’è affatto, oppure non è in sincronia con l’espressione a cui dovrebbe rispondere.

La funzione normativa

Riguarda la capacità del genitore di creare un sistema di regole flessibile, grazie al quale il figlio riesca a fare le proprie esperienze e, pian piano, diventare autonomo. 

La funzione significante

Il ruolo dei genitori è anche aiutare i bambini a comprendere sia se stessi che il mondo nel quale vivono. Questa funzione, infatti, riguarda proprio l’attribuzione di un senso ai bisogni e alle percezioni dei più piccoli, qualcosa che possa essere compreso e interiorizzato per dare un significato ai pensieri e alle azioni. 

La funzione predittiva

Si tratta della capacità del genitore di predire la tappa evolutiva successiva, per adattare le modalità di relazione alle nuove esigenze. 

La funzione rappresentativa e comunicativa

Questa funzione coinvolge lo scambio di informazioni e messaggi. Il genitore, infatti, deve riuscire a comunicare in modo chiaro, scegliendo modi e parole adatti al momento dello sviluppo che il bambino sta attraversando, così come al suo ruolo di genitore.  

La funzione fantasmatica 

Il genitore deve incoraggiare le fantasie dei bambini, poiché esse permettono di conoscere la realtà e di affrontare anche concetti astratti, oppure le paure che si sviluppano da elementi non reali. 

La funzione triadica 

Si tratta dell’abilità dei genitori di rispettarsi e collaborare tra loro, attraverso il sostegno reciproco e l’accettazione dell’autonomia dell’altro, per poter includere il bambino nella loro relazione.

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Diversi stili di parenting 

Nell’esercitare il suo ruolo, il genitore dovrebbe assolvere tutte le 8 funzioni che abbiamo visto. “Ogni persona, però”, ricorda la dottoressa Scalambra, “lo fa in maniera diversa: lo stile genitoriale o di parenting, infatti, varia ovviamente a seconda delle caratteristiche dei singoli. Dipende, inoltre, anche dalle modalità con cui si rassetta la coppia genitoriale a seguito dell’arrivo di un figlio, partendo dalla qualità della relazione prima di questo evento.” 

I due studiosi Maccoby e Martin, nel 1983, hanno individuato quattro stili che si differenziano per l’approccio dei genitori: indulgente, autoritario, autorevole, disimpegnato

  • Nel primo caso, il genitore è permissivo e non dà indicazioni precise su cosa fare o non fare. È sempre disponibile e tende a lasciare troppa libertà.
  • Il caso del genitore autoritario, invece, si configura quando l’adulto esercita un controllo sul bambino e dà indicazioni precise sul suo comportamento, aspettandosi che raggiunga dei risultati o che agisca in un certo modo. Le sue aspettative, talvolta, sono del tutto irrealistiche.
  • Un genitore autorevole non ricorre alle punizioni e mostra fermezza nelle decisioni. Fornisce indicazioni chiare, non fraintendibili, su ciò che va fatto o che è da evitare. 
  • Il genitore disimpegnato, infine, non dà al bambino il necessario supporto, è disattento ai suoi bisogni e non controlla il proprio figlio. 

Lo stile di parenting si riflette sui modelli educativi

La dottoressa Scalambra ricorda che “lo sviluppo di un’alleanza tra genitori e figli è importante sia per il riconoscimento dei propri spazi, legittimato dal rispetto che ciascuno dimostra per gli altri, sia per la consapevolezza della presenza e del contenimento, a fronte di specifiche esigenze, da parte di tutti i componenti del nucleo familiare”. Lo stile genitoriale, quindi, deve favorire questo processo, insieme allo stile educativo, “messo in pratica nei confronti del bambino attraverso la fiducia che viene riposta in lui e che consente ai genitori di essere più permissivi e concedere delle libertà”.  

In quest’ottica, bisogna tenere presente che anche i modelli di comunicazione sono rilevanti: “la capacità dei genitori di comunicare con i figli apre alla possibilità di confronto e condivisione”, conclude la dottoressa Scalambra. “Ciò avviene sia di fronte di scelte educative non condivise dal bambino, che possono essere spiegate, comprese e infine accettate, sia di fronte a scelte che vengono discusse e sviscerate al fine di raggiungere una soluzione condivisa da tutte le parti coinvolte”. 

 

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