Cos’è un genitore apprensivo
Nel significato comune, il termine “apprensivo” indica una persona che si preoccupa eccessivamente ed è spesso usato come sinonimo di ansioso. “Spesso con questo termine ci si riferisce alla madre – precisa la dottoressa – ma io preferisco parlare di genitore, perché si tratta di una caratteristica che può essere attribuita a entrambe le figure. Una figura genitoriale apprensiva assume spesso atteggiamenti iperprotettivi tendendo a proteggere i figli da qualunque potenziale situazione di pericolo, come l’interazione con l’ambiente esterno, gli impegni troppo faticosi, le preoccupazioni, pensando di fare il loro bene. Questa modalità, però, impedisce ai figli di provare sentimenti quali l’imbarazzo o la tristezza, e ciò non permette loro di trovare autonomamente soluzioni alle situazioni di disagio”.
Un esempio esplicativo è rappresentato dai genitori che devono sempre essere presenti durante i compiti del figlio, a cui spiegano la lezione per paura che debba affrontare il dispiacere di un brutto voto.
Spesso, quindi, mamme e papà condizionano in modo inconsapevole i figli: le normali preoccupazioni diventano così un’arma a doppio taglio, che impedisce ai più piccoli di sviluppare una propria autonomia.
Troppe apprensioni o ansia da neo-genitore?
La psicologa spiega che anche in una fase precoce della vita del bambino alcuni genitori anticipano troppo espressione dei bisogni dell’infante: ne è un esempio il genitore che non aspetta il pianto del neonato per dargli da mangiare, ma lo sveglia ogni 3 ore per nutrirlo, probabilmente a causa dell’ansia di non farlo abbastanza spesso e nel modo corretto. “Bisogna però distinguere questo atteggiamento dalla normale ansia di un neo-genitore che osserva il suo bambino con attenzione e cerca di capire piano piano le sue comunicazioni e le differenze del suo pianto, e che in caso di difficoltà chiede consigli al pediatra, all’ostetrica o ai parenti.
È utile ricordare infatti che il bambino piccolo esprime qualsiasi disagio con il pianto e, soprattutto all’inizio, per un genitore non è facile distinguerne il significato e comprendere se si tratta di un bisogno primario (ha fame, deve essere cambiato) o di un problema più importante”.
Genitorialità ‘normale’ e patologica
Per definire quali comportamenti sono indice di ‘normalità’ e quali invece patologici e quindi potenzialmente dannosi., l’intervistata cita alcuni colleghi internazionali che si sono occupati del tema. “Tessa Baradon (2007), psicoanalista infantile dell’Anna Freud Centre di Londra, scrive infatti che ‘è sempre necessario ricordare che essere genitori è per sua natura un mestiere imperfetto. Quei genitori che si sforzano di dare al loro bambino uno sviluppo privo del minimo ostacolo, lo trovano impossibile quanto non addirittura controproducente (Hopkins, 1996)’.
“La genitorialità sana è definita ‘sufficientemente buona’ (Winnicott, psicoanalista e pediatra): con questa espressione si intende la capacità del genitore di tollerare gli stati emotivi del bambino e di comprendere intuitivamente i suoi bisogni, di considerarlo come un essere umano separato con sentimenti e interazioni proprie. Il genitore deve inoltre avere una buona capacità riflessiva in relazione ai suoi comportamenti. La definizione di madri e padri ‘sufficientemente buoni’ ha una connotazione positiva e precisamente si riferisce ai genitori affettivamente presenti e spontanei. Sebbene presentino anche ansie, preoccupazioni, momenti di stanchezza e sensi di colpa, riescono a trasmettere sicurezza e amore. Nelle varie circostanze rispondono in maniera contestuale alle comunicazioni del figlio, permettendogli di provare il senso di essere compreso, ma sono ugualmente capaci di limitarne i comportamenti e le azioni, se necessario. È importante, dunque, che il bambino senta che qualcuno si sta occupando di lui, dei suoi stati fisici e mentali, poiché questo gli comunica la sensazione di essere al sicuro”.
D’altro canto, i pensieri e i sentimenti carichi di colpa, ansia, dolore e scarsa fiducia nelle proprie capacità possono compromettere questa capacità di essere ‘genitori sufficientemente buoni’. Infatti, la psicologa continua: “come afferma Baradon, ‘quando questi genitori sono chiamati a consolare i figli, a giocarci insieme o a stabilire regole e limiti, non possono che affidarsi alle aspettative che hanno costruito nel tempo’.
Naturalmente, un’altra classe di fattori che potenzialmente interferiscono con la genitorialità è quella dei disturbi psichici. Ogni bambino ha bisogno che i suoi genitori si adattino alla sua personalità, ma qualche volta le aspettative costruite nel passato e altre questioni irrisolte sono incompatibili con la capacità di rispondere adeguatamente ai bisogni individuali del figlio”.
Genitori apprensivi: quali ripercussioni sul bambino?
Abbiamo ricordato, quindi, che se da un lato è del tutto normale per un genitore avere a cuore la crescita e la salute del proprio figlio, a volte questo può tradursi in atteggiamenti esagerati e in eccessive preoccupazioni, che risultano deleterie, sulla lunga distanza, per entrambe le parti.
“In primo luogo, l’iperprotettività può minare lo spazio di autonomia del bambino, che percepisce un mancato riconoscimento delle proprie capacità da parte del genitore. Chi è educato a non incontrare ostacoli sul proprio percorso potrà vivere in modo più problematico le situazioni conflittuali, da adolescente e da adulto: se il genitore interviene sempre nei rapporti con gli insegnanti o con gli amici per evitare che il figlio ci rimanga male, si rattristi o si arrabbi, si può rischiare che da grande non sappia come comportarsi, o rapportarsi agli altri, e non riesca a prendersi le sue responsabilità. Bisogna tenere a mente che quando si iper-protegge si rischia di compromettere l’autostima del bambino perché passa il messaggio: tu non sai fare nulla senza il mio aiuto”.
Essere genitore: crescere insieme ai figli
A volte è difficile lasciare ai figli la libertà di fare e sperimentare, poiché significa fare un passo indietro, non fornire soluzioni immediate e semplicemente stare a osservare e rispondere alle eventuali richieste. “Questo atteggiamento implica una posizione molto complicata da parte del genitore, che accetta l’indipendenza del figlio da sé e lo considera una persona separata, con idee e pensieri autonomi che possono essere diversi dai suoi, un processo molto complesso che avviene attraverso la separazione e individuazione. È importante che il genitore impari a tollerare l’ampia gamma di sentimenti provati nei confronti del figlio: se riesce a fare ciò sarà maggiormente disposto ad accettare anche le emozioni, i sentimenti e le azioni mostrate da lui o lei”.
La dottoressa aggiunge inoltre che, secondo Baradon, “è fondamentale che, nella prima fase dopo la nascita, i genitori soddisfino tutti i bisogni del figlio, ma è altrettanto importante che questa situazione cambi con lo sviluppo e con il sostegno fornito alle sue capacità innate di agire autonomamente e sviluppare intenzione e volontà. Inoltre, il genitore con il passare del tempo, impara spontaneamente a ‘fallire’, ovvero a non rispondere in maniera immediata alle richieste del bambino, e darà così la possibilità al figlio di imparare ‘l’arte dell’attesa’ (Winnicott, 1988), utilizzando l’esperienza impressa nella sua memoria per evocare ciò che desidera.
Questi processi aprono la strada alle prime sensazioni di separazione e di dipendenza, promuovendo l’uso delle capacità di pensiero e di immaginazione. Adattarsi a questi fenomeni di sviluppo dipenderà da quanto il genitore saprà gestire la collera del bambino negli inevitabili momenti di frustrazione”.
Quando chiedere aiuto?
Molti genitori faticano a tollerare che il figlio esplori l’ambiente esterno, un comportamento che aiuta il bambino o il ragazzo ad aumentare l’autonomia, ma che può provocare all’adulto una apprensione profonda, causata dalla difficoltà ad accettare di non avere una vicinanza fisica costante e controllabile con lui.
“Alla base di questo comportamento ci può essere la preoccupazione, spesso irrazionale, che al bambino possa succedere qualcosa di grave o che l’ambiente sia pieno di pericoli. Di conseguenza, chi prova queste sensazioni, spesso scoraggia e punisce i tentativi di esplorazione” sottolinea l’intervistata. “La valutazione che un genitore può fare per capire quando è il caso di chiedere aiuto è di tipo temporale: se la preoccupazione è reiterata e se si verifica per ogni situazione nuova che il figlio deve affrontare, sia in fase precoce di sviluppo che durante preadolescenza o in adolescenza, è consigliabile rivolgersi a uno psicologo o psicoterapeuta esperto nello sviluppo e nel sostegno alle funzioni genitoriali, per poter valutare attraverso una consulenza la possibilità di usufruire di un aiuto psicologico e di quale tipo. Se la persona, nella sua esperienza di figlio, è stata eccessivamente limitata e se sente di aver ‘ereditato’ questa modalità, è consigliabile chiedere un sostegno. Un’altra condizione è la presenza di una patologia depressiva o psicologica che induce a un comportamento meccanico e che impedisce di attuare delle soluzioni ‘creative’ in risposta alle esigenze del figlio. Questo potrebbe generare difficoltà emotive nello sviluppo psicologico del figlio, che possono essere prevenute attraverso un aiuto psicologico precoce attuato con una terapia che prenda in carico contemporaneamente sia il genitore che il bambino”.
Alcuni consigli per genitori troppo apprensivi
La dottoressa Cavallari ricorda infine come sia fondamentale, per un genitore, rimanere a osservare il proprio figlio ‘da lontano’, con un atteggiamento vigile ma non anticipatorio, dove si dà fiducia e si lascia sperimentare. “Nella vita quotidiana occorre lasciare che bambini e bambine si mettano in gioco su aspetti quali: scegliere i vestiti da soli, scegliere lo sport da praticare, decidere con chi giocare e come giocare, perché tutto questo permette al bambino di implementare la sua capacità ‘sbagliare’ e trovare soluzioni, un aspetto molto importante per la sua autonomia futura. È in questo modo che guadagna la fiducia e la sicurezza di sé. Il compito del genitore è quello di insegnare al proprio figlio ad affrontare la vita e tutti gli ostacoli che può incontrare sul suo cammino, e per farlo si può iniziare da piccole cose”.
Come affrontate le preoccupazioni genitoriali? Ci sono delle situazioni che vi generano ansia?
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