L’ipertrofia prostatica benigna (IPB) è un disturbo frequente nella popolazione maschile, soprattutto in età avanzata: si manifesta con un ingrossamento della ghiandola prostatica e può causare problemi urinari. Pur non essendo una patologia grave, può avere un impatto notevole sulla qualità della vita di chi ne soffre, quindi individuarla e trattarla adeguatamente è molto importante. In questo articolo approfondiremo cos’è l’ipertrofia prostatica e quali sono le cause e i fattori di rischio di questo disturbo. Illustreremo, inoltre, con quali sintomi si manifesta e come si diagnostica questa problematica urologica. Infine, esamineremo le terapie più efficaci e gli stili di vita corretti per contrastarla e prevenirla.
Cos’è l’ipertrofia prostatica benigna (IPB)
L’ipertrofia prostatica benigna (IPB), o iperplasia prostatica benigna (BPH), anche nota come adenoma prostatico, è una patologia che causa un ingrossamento della prostata, una piccola ghiandola dell’apparato genitale maschile, posizionata sotto la vescica e davanti al retto, che ha il compito principale di produrre e immagazzinare il liquido seminale. Questo aumento di volume, di natura benigna, è dovuto all’aumento di cellule prostatiche e alla formazione di noduli ed è molto comune negli uomini, soprattutto dopo i 70-80 anni di età, quando si stima che colpisca oltre l’80% della popolazione maschile. Secondo i più recenti dati diffusi dalle società mediche e scientifiche, sono 6 milioni gli italiani che soffrono di ipertrofia prostatica benigna: il 50% degli uomini di età compresa tra i 51 e i 60 anni, il 60% nella fascia 61-70 anni, il 90% degli ottantenni. Questa condizione può causare disturbi urinari e richiede una corretta diagnosi, ma non deve destare particolare preoccupazione: non è una patologia tumorale e, con adeguate terapie, può essere curata.
Ipertrofia prostatica benigna: le cause e i fattori di rischio
Le principali condizioni associate allo sviluppo dell’ipertrofia prostatica sono l’invecchiamento e i cambiamenti ormonali che si verificano nell’uomo con l’avanzare dell’età. L’andropausa, ovvero il calo fisiologico della produzione di ormoni sessuali maschili (androgeni), in particolare di testosterone, che inizia dai 45-50 anni e si fa più marcato dopo i 60-70 anni, sembra giocare un ruolo centrale nel favorire l’ingrossamento della prostata. Studi scientifici suggeriscono che ci sia anche una predisposizione genetica che rende più suscettibili all’ipertrofia prostatica.
I fattori di rischio che potrebbero aumentare la probabilità di soffrire di questa patologia includono:
- età, perché l’ingrossamento della prostata si manifesta raramente prima dei 40 anni ed è particolarmente frequente dopo i 60 e, soprattutto, dopo gli 80 anni;
- familiarità, dal momento che chi ha un parente, come un padre o un fratello, con ipertrofia prostatica ha maggiori probabilità di soffrirne;
- diabete, malattie cardiache e obesità;
- sedentarietà.
Sintomi
Le più comuni manifestazioni cliniche dell’ipertrofia prostatica sono i disturbi urinari: la prostata ingrossata, infatti, comprime l’uretra – il canale che permette l’espulsione dell’urina – e ostacola il riempimento e lo svuotamento corretti della vescica. Generalmente i sintomi si presentano in modo graduale e sono sia irritativi che ostruttivi. Tra i più comuni figurano:
- difficoltà a urinare, che richiede uno sforzo per iniziare e completare la minzione;
- bisogno frequente di urinare (pollachiuria), sia di giorno che durante la notte (nicturia);
- flusso di urina debole, talvolta intermittente o con sgocciolamento (fuoriuscita di alcune gocce di urina) al termine della minzione;
- sensazione di incompleto svuotamento della vescica;
- dolore durante la minzione o l’eiaculazione.
Talvolta l’ipertrofia prostatica può comportare anche la presenza di sangue nelle urine (ematuria).
Non sempre, comunque, questa condizione è sintomatica: in circa la metà dei pazienti, infatti, la prostata ingrossata non causa alcun fastidio. La presenza o l’assenza di disturbi, così come la loro gravità, sono indipendenti dalle dimensioni assunte dalla ghiandola prostatica.
Le complicanze dell’ipertrofia prostatica
L’ipertrofia prostatica, per quanto sia una condizione benigna, se non trattata può portare a problematiche sempre più serie delle basse vie urinarie, che in alcuni casi possono rendere necessario un intervento medico. Le principali complicanze includono:
- incontinenza, ovvero la perdita involontaria di urina dovuta a un bisogno impellente e irrefrenabile di urinare (urgenza minzionale);
- ritenzione di urina, che consiste in un vero e proprio blocco della minzione dovuto all’ostruzione dell’uretra e che, nei casi più gravi, richiede l’applicazione di un catetere per lo svuotamento vescicale;
- danni alla muscolatura della vescica;
- calcoli vescicali;
- infezioni del tratto urinario;
- danni ai reni, che possono portare all’insufficienza renale.
Queste condizioni possono presentarsi con sintomi come dolore al basso addome o alla schiena, impossibilità di urinare, febbre e brividi, che rappresentano importanti campanelli d’allarme da non trascurare e segnalare subito al medico o all’urologo.
Come sottolinea la Società Italiana di Urologia (SIU), invece, non c’è alcun legame di causa-effetto tra ipertrofia prostatica e tumore alla prostata: l’ingrossamento della ghiandola, infatti, non evolve e non contribuisce a favorire una modificazione in senso canceroso del suo tessuto, anche se non trattato. L’iperplasia prostatica, quindi, oltre ad essere una problematica benigna non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del carcinoma alla prostata.
Le conseguenze dell’ipertrofia prostatica sulla qualità della vita
Per il disagio che provocano, i sintomi urinari dell’ipertrofia prostatica hanno spesso anche conseguenze di natura psicologica. In particolare, disturbi come l’urgenza di andare in bagno e l’incontinenza possono avere un forte impatto sulle relazioni e, nei casi peggiori, portare chi ne soffre a rinunciare alla vita sociale e a evitare di allontanarsi da casa per il timore di non riuscire a gestire con facilità queste problematiche intime.
L’ipertrofia prostatica può anche avere ripercussioni sulla vita sessuale, sia perché può causare imbarazzo e rendere difficile vivere serenamente il rapporto di coppia, sia perché alcuni trattamenti farmacologici possono avere effetti collaterali come calo del desiderio e disfunzione erettile.
Infine, il bisogno di urinare di notte determina spesso un sonno frammentato che può tradursi in stanchezza, sonnolenza diurna, difficoltà di concentrazione e ostacolare lo svolgimento delle normali attività quotidiane.
Come si diagnostica l’ipertrofia prostatica benigna
Per la diagnosi dell’iperplasia prostatica benigna è spesso sufficiente una visita urologica con esame rettale digitale, che permette di valutare le caratteristiche e le dimensioni della ghiandola. È importante sottoporsi a questo controllo ai primi sintomi sospetti e, dopo i 40 anni, effettuarlo regolarmente nell’ambito degli esami di prevenzione maschile per consentire la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo di qualsiasi problematica urologica.
Per completare il quadro clinico, lo specialista può anche prevedere ulteriori indagini cliniche per confermare l’ipertrofia prostatica ed escludere la presenza di altre patologie che possono causare sintomi simili. Tra gli esami che può essere utile effettuare nell’ambito dell’iter diagnostico ci sono:
- uroflussimetria, che serve a monitorare il flusso urinario e ad accertare l’eventuale mancato svuotamento della vescica attraverso la valutazione del residuo post-minzionale, ovvero della quantità di urina che rimane al suo interno dopo che il paziente ha urinato;
- ecografia prostatica trans-rettale, per identificare l’esatto volume della prostata, soprattutto in caso di necessità di un intervento di disostruzione;
- ecografia dell’addome, per escludere complicanze come i calcoli ai reni;
- esame del PSA, che consiste in un semplice prelievo di sangue per effettuare il dosaggio dell’antigene prostatico specifico, una sostanza prodotta dalla prostata: valori elevati di PSA sono indicatori di potenziali problematiche prostatiche, quindi misurare i suoi livelli è utile per acquisire informazioni con cui formulare una diagnosi completa.
Terapie
L’ipertrofia prostatica può essere affrontata con diversi approcci terapeutici, da valutare a seconda dell’entità e della gravità dei sintomi, dell’età e delle condizioni di salute del paziente, degli eventuali effetti collaterali di ciascuna metodica. Non è tuttavia una patologia che richiede necessariamente un trattamento.
In caso di malattia asintomatica, o in presenza di disturbi lievi che non condizionano la vita di chi ne soffre, è possibile fare ricorso alla vigile attesa, ovvero al monitoraggio dei parametri clinici e radiologici per tenere sotto controllo l’evoluzione della malattia e intervenire se necessario e con le modalità più appropriate. In questo caso, è utile che il paziente adotti una serie di accortezze e modifiche comportamentali per favorire una migliore gestione dell’ipertrofia e degli eventuali sintomi, come moderare il consumo di alcol e caffeina e ridurre l’assunzione di liquidi prima di andare a dormire.
Se, invece, l’ipertrofia prostatica causa sintomi gravi può essere raccomandata una terapia farmacologica, mentre se la prostata ha raggiunto volumi tali da causare un’ostruzione urinaria si rende necessario ricorrere all’intervento chirurgico.
Anche lo stile di vita, in particolare una dieta equilibrata e un’attività fisica regolare, può giocare un ruolo nel controllo dei sintomi e aiutare a convivere più serenamente con questa problematica. Esaminiamo le diverse strategie terapeutiche disponibili.
Il trattamento farmacologico dell’ipertrofia prostatica
Il ricorso ai farmaci per il trattamento dell’ipertrofia prostatica è utile, in presenza di una sintomatologia severa, per ridurre le dimensioni della prostata, alleviare i disturbi urinari e ritardare il ricorso all’intervento chirurgico. La scelta dei medicinali da utilizzare deve essere fatta dallo specialista sulla base del caso clinico specifico, ma in linea generale, come sottolinea la Società Italiana di Farmacologia, sono impiegate principalmente tre classi di farmaci:
- alfa litici, che rappresentano il primo approccio per ridurre la frequenza della minzione e migliorare il flusso urinario perché, agendo su alcuni recettori denominati alfa1, permettono un più efficace svuotamento della vescica;
- Inibitori della 5-alfa-reduttasi, che attraverso l’azione su specifici ormoni possono rivelarsi utili per ridurre la crescita prostatica, quindi sono indicati se la ghiandola ha assunto un volume molto significativo;
- Inibitori della fosfodiesterasi, che controllano enzimi presenti nelle cellule della muscolatura liscia della prostata e possono favorire l’attenuazione dei sintomi urinari.
Come ricorda la SIU, esistono anche fitofarmaci, ovvero farmaci a base di principi attivi estratti dalle piante, che vengono talvolta impiegati nel trattamento di questa patologia ma mancano evidenze scientifiche sufficienti per spiegarne i meccanismi d’azione e per confermarne l’efficacia nel ridurre i sintomi dell’ipertrofia prostatica.
Ipertrofia prostatica: quando serve la chirurgia
Il ricorso alla chirurgia si rende necessario se l’ipertrofia prostatica compromette in modo serio lo svuotamento vescicale causando una ritenzione urinaria cronica o ricorrente, ma anche in caso di infezioni urinarie o sintomi resistenti alla terapia farmacologica. Può avvalersi di svariate tecniche, sia invasive che mininvasive, da scegliere soprattutto sulla base delle dimensioni della prostata, dell’età e del quadro clinico generale del paziente.
La Resezione Transuretrale della Prostata (TURP – Transuretral Prostate Resection) per la rimozione completa dell’adenoma prostatico ha rappresentato la procedura chirurgica di riferimento per la cura di questa patologia negli ultimi decenni e viene in genere effettuata in endoscopia, introducendo un resettore attraverso l’uretra, per limitare l’impatto sul paziente. Solo in caso di prostata fortemente ingrossata si può ricorrere a un intervento tradizionale “a cielo aperto”, tramite un’incisione sull’addome.
Sono disponibili anche tecniche laser mininvasive come l’ablazione laser interstiziale transperineale ecoguidata, che si esegue accedendo alla prostata attraverso la cute del perineo (la regione anatomica tra i testicoli e l’ano) per distruggere il tessuto ghiandolare in eccesso attraverso un trattamento termico. Questa tecnica, che ha il vantaggio di preservare l’uretra e di minimizzare effetti collaterali come incontinenza urinaria, sanguinamento e problemi di eiaculazione, è preferibile nei pazienti più giovani e permette di rimandare interventi chirurgici invasivi, che possono essere programmati in età più avanzata.
Altre metodiche innovative mininvasive che si sono affermate negli ultimi anni e che consentono di ridurre durata del ricovero, effetti collaterali e complicanze includono:
- il lifting uretrale prostatico (PUL – Prostatic Urethral Lift), che consiste nel posizionamento nella prostata di piccoli impianti che, come delle mollette, pinzano e comprimono la ghiandola ingrossata, in modo da ridurre l’ostruzione uretrale e migliorare il flusso urinario;
- la terapia termale a vapore acqueo, che sfrutta il vapore per distruggere le cellule prostatiche responsabili della compressione dell’uretra;
- l’embolizzazione delle arterie prostatiche, che consiste nell’iniettare specifiche particelle nei vasi che portano il sangue alla prostata per bloccarne il flusso, una procedura che determina il restringimento della ghiandola nei mesi successivi.
Dalla dieta all’attività fisica, il ruolo dello stile di vita nell’ipertrofia prostatica benigna
Anche un’alimentazione equilibrata è una componente importante nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, in particolare per alleviarne i sintomi. È utile soprattutto evitare i cibi che irritano o possono causare costipazione. Una dieta ricca di frutta, verdura e cereali integrali può contribuire a salvaguardare la regolarità intestinale grazie alla sua ricchezza di fibre. Gli alimenti ad elevato contenuto di grassi e zuccheri, come insaccati, carni rosse, formaggi, fritti, spezie, farine raffinate, possono invece favorire l’infiammazione della prostata, quindi è bene limitarne il consumo. All’opposto, i cibi ricchi di omega-3, come il pesce azzurro, possono essere utili per l’effetto antinfiammatorio che questi acidi grassi polinsaturi sono in grado di esercitare.
Seguire una dieta sana è una buona abitudine anche in ottica preventiva, così come praticare una regolare attività fisica: la sedentarietà, infatti, è nemica della salute della prostata e può renderla più vulnerabile a patologie come l’ipertrofia prostatica benigna. Oltre a fare movimento a intensità moderata per almeno 30 minuti al giorno – è sufficiente una camminata -, è anche utile svolgere esercizi per il pavimento pelvico per mantenere in allenamento la prostata e migliorare il controllo della vescica.
Come abbiamo illustrato, l’ipertrofia prostatica benigna è una condizione comune tra gli uomini e non particolarmente grave. Per individuarla e trattarla correttamente è comunque fondamentale sottoporsi a controlli urologici, sia in presenza di sintomi sia periodicamente, come buona regola per monitorare il proprio stato di salute: visite regolari sono importanti soprattutto in ottica di prevenzione per gli anziani, dato che questa problematica tende ad essere più frequente con l’avanzare dell’età. Un aiuto può arrivare da UniSalute Uomo, la polizza sanitaria su misura per le esigenze maschili: un’assicurazione che dà la possibilità di effettuare gratuitamente una visita specialistica una volta all’anno grazie a uno speciale pacchetto di prevenzione urologica. Prevede, inoltre, il pagamento delle spese per esami di laboratorio e, in più, aiuta ad affrontare più facilmente gli imprevisti legati alla salute con un’indennità giornaliera in caso di ricovero.
FONTI:
grupposandonato.it
humanitas.it
materdomini.it
siu.it
airc.it
ospedaleniguarda.it
issalute.it
fondazioneveronesi.it
Immagine in evidenza di pixelfit/gettyimages.it
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