Pesce crudo: i rischi legati al consumo
Vi sono diversi rischi legati al consumo di prodotti ittici crudi o poco cotti, che interessano molte specie diverse, dal pesce azzurro fino ai molluschi. Tra i principali, quello di contrarre l’epatite A, collegata soprattutto al consumo di molluschi crudi, come cozze e vongole. Esiste inoltre il rischio di intossicazione causata da alcuni parassiti che possono trovarsi all’interno del pesce e che se non abbattuti possono provocare gravi danni alla nostra salute. Quella da anisakis, è una della più note “zoonosi” di origine alimentare, ovvero una delle principali malattie che possono essere trasmesse dai prodotti della pesca all’uomo.
Vediamo, allora, cosa comportano Epatite A e anisakis.
Molluschi bivalvi crudi e il rischio di Epatite A
Chiamati comunemente “frutti di mare”, alla specie dei molluschi bivalvi appartengono per esempio le cozze, le vongole, le ostriche, i cannolicchi, le capesante e i fasolari. Consumarli crudi può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo dell’epatite A. Ma perché sono pericolosi?
I molluschi più comunemente consumati sono le cozze e le vongole: mentre le prime crescono in ambiente salmastro e al mare, su scogli o su sistemi di allevamento in sospensione, le vongole vivono su fondali fangosi nei litorali e nelle zone lagunari. Questi organismi si alimentano assorbendo dall’acqua le sostanze di cui necessitano: se nelle acque in cui vivono sono presenti virus o batteri, questi ultimi si accumuleranno all’interno dei bivalvi.
Ecco perché il rischio di contrarre l’epatite A mangiando molluschi crudi è reale e non va sottovalutato.
Epatite A: i sintomi
I sintomi dell’Epatite A possono manifestarsi a distanza di 15-50 giorni dal contagio. Questo virus, che attacca le cellule epatiche, danneggiandole, è accompagnato dall’ittero, la colorazione giallastra della cute, causata dall’aumento della bilirubina nel fegato e da alcuni sintomi quali:
- febbre
- malessere
- dolore addominale
- nausea.
In genere, si guarisce in un paio di settimane, anche se sono presenti forme più gravi, che possono causare insufficienza epatica o risultare addirittura letali.
Pesce crudo e rischio anisakis
L’anisakis è forse il parassita più diffuso tra i pesci di acqua salata e si può trovare sia nel Mar Mediterraneo che negli Oceani Atlantico, Pacifico e Indiano. Si presenta come un verme tondo e bianco e può trovarsi in numerose specie ittiche come per esempio: sardine, aringhe, alici, acciughe, sgombri, totani e calamari, ma anche salmone e tonno.
È possibile contrarre il parassita in seguito al consumo di pesce crudo o poco cotto, contaminato da larve di anisakis. Queste ultime, che in genere sono di dimensioni comprese tra i 15 e i 30 mm, possono trovarsi nello stomaco, nell’intestino o nel fegato del pesce. Vediamo allora quali sono i principali sintomi dell’anisakidosi e come evitarli.
Anisakidosi: i sintomi
Nel momento in cui il pesce contaminato da larve di anisakis viene ingerito, queste ultime non si sviluppano ulteriormente, ma possono rimanere in vita nel nostro apparato digerente per un lasso di tempo variabile, invadendo la mucosa gastrica e intestinale. Se arrivano a penetrare la mucosa gastrica, le larve possono sviluppare una reazione infiammatoria e portare alla perforazione della parete gastrointestinale.
I principali sintomi dell’anisakidosi sono:
- dolori addominali
- nausea
- vomito
- febbre (raramente)
- reazioni allergiche
- shock anafilattico
Come consumare il pesce crudo?
Se desiderate continuare a gustare un piatto di sushi o assaggiare i molluschi in riva al mare, ci sono alcuni accorgimenti che si possono adottare per difendersi da anisakis ed Epatite A. Ecco qualche consiglio.
Contro l’anisakis congelare il prodotto
Un primo accorgimento importante per evitare il contagio da anisakis è rappresentato dal congelamento del prodotto: se utilizzate un congelatore domestico (contrassegnato da 3 o più stelle) ricordatevi che la temperatura da raggiungere è -18°C per almeno 4 giorni. Se invece siete soliti consumare sushi al ristorante, tenete presente che Il Regolamento N. 853/2004 del Parlamento Europeo, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, prevede che i prodotti ittici siano trattati ad una temperatura di -20 °C per 24 ore al cuore del prodotto; trattamenti analoghi, ma con diversi rapporti tra tempo e temperatura sono quelli a -15 °C per 96 ore e a -35 °C per 15 ore.
Ciò significa che se un ristoratore non utilizza tutte le attrezzature idonee per l’abbattimento del pescato e il congelamento viene effettuato a temperature e tempi differenti da quelli indicati dal Regolamento, si rischia di non eliminare il parassita e di consumare pesce contaminato.
Se si consuma a casa pesce crudo, è bene acquistare pesci già eviscerati, soprattutto se si comprano le specie più a rischio. Nel caso questo non sia possibile, possiamo procedere noi all’ eviscerazione non appena il pescato arriva a casa, prima di riporlo in frigorifero. Solo in questo modo si può impedire che le larve migrino nel muscolo. Infine, si può ridurre il rischio di anisakidosi anche limitando l’utilizzo di prodotti ittici come semiconserve a base di pesce crudo marinato.
Per prevenire il rischio di ingerire pesce contaminato dal parassita, quindi, l’aspetto più importante da considerare è il trattamento del prodotto ittico che si desidera consumare. In particolare, sono tre i fattori che insieme possono determinare la presenza o meno dell’anisakis nel pescato: innanzitutto la temperatura, poi il tempo necessario affinché quest’ultima sia raggiunta in modo uniforme in tutte le parti del pesce e, infine, il mantenimento della stessa per un tempo adeguato, in modo da provocare la morte totale dei parassiti. Se tutti e tre questi fattori non vengono rispettati, il rischio di intossicazione da anisakis può essere molto alto. Per evitare che ciò accada, gli esperti consigliano la cottura dei prodotti ittici, seppur breve: bastano 70 °C per qualche minuto.
Molluschi bivalvi: guida all’acquisto e al consumo
Per prevenire il rischio di contaminazione è necessario adottare alcuni accorgimenti importanti sia nel momento dell’acquisto, sia nella preparazione, che nel consumo dei molluschi bivalvi.
I frutti di mare vanno acquistati nell’apposita retina sigillata e con l’etichetta, garanzia di tracciabilità. Inoltre, è meglio rifornirsi in pescherie e supermercati, che possano garantire i controlli lungo la filiera di produzione, evitando invece di comprare i molluschi sfusi o immersi in acqua.
Dopo l’acquisto, per prima cosa è necessario tenere separata la retina da altre confezioni di prodotti ittici, per evitare potenziali contaminazioni. Un’altra indicazione importante è quella di non interrompere la catena del freddo: i frutti di mare vanno trasportati in una borsa termica, specialmente quando si acquistano d’estate.
Durante la preparazione, dopo averli puliti è necessario verificare che le cozze o le vongole siano vive (picchiettando per esempio le valve, le due parti di cui il guscio si compone: se esse si chiudono, il mollusco si può consumare, altrimenti è consigliato gettarlo via).
Ora che sappiamo quali sono i rischi del consumare pesce crudo o poco cotto, non resta che prestare attenzione se si desidera preparare una fresca tartare di tonno a casa propria. Per evitare il rischio di intossicazione da anisakis basterà acquistare il pesce fresco già eviscerato e riporlo nel congelatore a -20 °C per 24 ore per abbattere eventuali larve presenti nel pesce. Se invece siete amanti dei i frutti di mare ricordatevi che per evitare il rischio di contrarre epatite A, è sempre bene cuocerli (anche solo per 10 minuti).
Conoscevate i rischi legati al consumo di pesce crudo?
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