emdr psicoterapia

Cos’è e come funziona il trattamento per il disturbo post traumatico da stress (EMDR)?

EMDR è l’acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) e indica un metodo psicoterapico con il quale si trattano diverse patologie, compreso il disturbo post-traumatico da stress, conosciuto come PTSD, post-traumatic stress disease. In questo articolo approfondiremo l’argomento e, con l’aiuto della dottoressa Elisabetta Scalambra, psicologa e psicoterapeuta, parleremo di che cos’è l’EMDR.

Come è nata l’EMDR

L’intuizione che portò a sviluppare la procedura oggi nota come EMDR si deve alla psicologa statunitense Francine Shapiro, che iniziò a studiare i movimenti oculari in rapporto alle emozioni negative nel 1987, durante il dottorato. Le considerazioni di base sono legate al modello AIP, Adaptive information processing, secondo il quale i ricordi positivi e negativi influenzano la salute mentale e psicologica. Le informazioni immagazzinate possono essere recuperate – si tratta del processo di apprendimento – ma quando l’esperienza vissuta è traumatica questo stesso meccanismo ne impedisce l’elaborazione. Le conseguenze possono essere disfunzioni e patologie.

Shapiro si accorse che i movimenti oculari da destra verso sinistra sembravano ridurre l’emozione negativa associata a ricordi angoscianti: lo sperimentò prima su se stessa, poi su altre persone, arrivando alla stessa conclusione. Nel corso degli anni, fu messa a punto una procedura standardizzata (l’EMDR, appunto) che consente il trattamento di molte psicopatologie, oltre al disturbo post-traumatico da stress, come la depressione, l’ansia, le fobie, le dipendenze.

emdr

laurence soulez/gettyimages.it

Il disturbo post-traumatico da stress

Le persone che si trovano coinvolte in un evento traumatico, come un terremoto, o che vivono esperienze terribili come la guerra, possono subirne le conseguenze per lungo tempo. Oggi ci si riferisce a questo problema con il termine disturbo da stress post-traumatico (PTSD), un fenomeno studiato soprattutto dopo la Guerra del Vietnam del 1975, attraverso gli effetti che il conflitto ebbe sui soldati americani. I reduci, infatti, avevano grosse difficoltà a tornare alla vita di tutti i giorni, poiché rivivevano alcuni momenti del periodo bellico, come un attacco nemico o la morte dei compagni, con conseguenze devastanti a livello fisico e relazionale. Nel 1980 l’edizione aggiornata del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, testo di riferimento per psicologi e psichiatri, riportò per la prima volta il disturbo, che da quel momento in poi fu sempre più studiato e documentato.

Il disturbo da stress post-traumatico, tuttavia, non si manifesta solo in seguito a un evento così grave e totalizzante come una guerra, ma può colpire anche persone che hanno dovuto fronteggiare il lutto di un amico o di un familiare, che hanno assistito a un incidente, una sparatoria, una rapina in cui è stato ferito o ucciso qualcuno, oppure che hanno rischiato direttamente la vita.

Quali sono i sintomi del PTSD?

“Le persone che soffrono di disturbo da stress post-traumatico hanno sintomi che rientrano in diverse categorie”, precisa la psicologa. Si tratta di:

  • intrusioni: rivivono ciò che ha generato il trauma, attraverso ricordi e sensazioni fisiche che compaiono improvvisamente. Possono esserci delle allucinazioni scatenate da stimoli visivi o uditivi, come forti rumori che fanno pensare a un’esplosione. Sono frequenti anche gli incubi.
  • Evitamento: stanno alla larga da eventi e situazioni che potrebbero ricordare loro quanto accaduto. Spesso possono sembrare distaccati o freddi, incapaci di provare emozioni, a causa della mancata elaborazione del trauma. Molto spesso le persone provano un forte senso di colpa, per essere sopravvissuti o per non aver potuto salvare qualcuno.
  • Alterazioni negative nella cognizione e nell’umore, come irritabilità, incapacità di controllare la rabbia, problemi di concentrazione e di memoria.
  • Alterazioni nell’eccitazione e reattività: in un costante stato di allerta, chi soffre di PTSD spesso si sente ancora in pericolo e per controllare questa sensazione può ricorrere all’uso di alcol e droghe.

La diagnosi del disturbo è confermata quando un paziente manifesta almeno un sintomo di ogni categoria, per un periodo superiore a un mese da quando è stato esposto in modo diretto o indiretto al trauma.

ptsd

designer491/gettyimages.it

L’EMDR nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress

L’EMDR ha ricevuto moltissime conferme scientifiche ed è riconosciuto come metodo evidence based per il trattamento dei disturbi post traumatici. Il Ministero della Salute lo ha approvato nel 2003.

L’obiettivo della procedura è “ripristinare il naturale processo di elaborazione delle informazioni”, inizia a spiegare la psicologa. “L’EMDR va ad agire sui ricordi che hanno origine quando avviene il trauma, che sono paragonabili a una lacerazione che non cicatrizza, e quindi non guarisce, provocando nella persona senso di disagio, di fastidio sia a livello emozionale che corporeo. Ciò accade anche a distanza di tempo, ma è possibile intervenire per accelerare la ‘guarigione’, attivando contemporaneamente il canale percettivo, cognitivo, emotivo e somatico, stimolando i movimenti oculari nel paziente attraverso l’EMDR”.

Cosa accade durante una seduta?

La procedura dell’EMDR è piuttosto complessa, dal momento che durante una seduta con il terapeuta si interviene sulla percezione del trauma, sulle emozioni che ha scatenato, ma anche a livello cognitivo e somatico, indagando sulle sensazioni fisiche. Esistono 8 fasi in cui si articola il protocollo:

  • nella prima si effettua l’anamnesi e viene stabilito un piano terapeutico;
  • nella seconda, il paziente è preparato al trattamento, attraverso la spiegazione di ciò che avverrà e di quali potranno essere le sue reazioni;
  • nella terza fase si valuta e definisce il ricordo del trauma, prendendo in considerazioni le sensazioni e le emozioni che suscita;
  • a questo punto il terapeuta chiede al paziente di seguire con lo sguardo i movimenti delle sue mani e a concentrarsi sul ricordo del trauma. I movimenti ritmici degli occhi verso destra e verso sinistra favoriscono il recupero del trauma che non è stato elaborato;
  • il terapeuta continua la stimolazione, e la quinta fase corrisponde alla ristrutturazione cognitiva, che serve a modificare la percezione del ricordo per privarlo della connotazione fortemente negativa;
  • nella sesta fase, il paziente è invitato ad analizzare la presenza di sensazioni fisiche legate al trauma, che si verificano quando ne parla o ci pensa;
  • la settima fase consiste nel verificare l’efficacia dell’EMDR attraverso un diario tenuto dal paziente, per tenere traccia di cosa accade e se il ricordo o le sensazioni spiacevoli si manifestano ancora;
  • alla fine del trattamento, a distanza di una settimana, il terapeuta controlla le condizioni di salute e l’eventuale comparsa di sintomi legati allo stress nel paziente, per valutare l’impatto della terapia.
emdr

KatarzynaBialasiewicz/gettyimages.it

“Attraverso questo protocollo strutturato, viene focalizzata in maniera più nitida l’immagine traumatica, vengono attivati pensieri negativi auto riferiti come senso di pericolo o sentimenti di colpa, così come le emozioni di rabbia e paura e le sensazioni fisiche. Questo tipo di terapia desensibilizza via via il ricordo, rendendolo così sempre meno invasivo e disturbante per la persona, che può così elaborare il trauma collocandolo nel passato a cui appartiene”, conclude la dottoressa Scalambra.

È importante affrontare i problemi di salute rivolgendosi al proprio medico di base e a degli specialisti che sappiano indirizzarci verso il percorso terapeutico più adatto alle nostre esigenze, sia che si tratti di disturbi fisici che psicologici. Sottovalutare un sintomo, di qualunque natura, è molto pericoloso, ma soprattutto può tenerci ancorati a uno stato di malessere che invece sarebbe superabile con l’aiuto di un professionista. Curare se stessi vuol dire anche avere più energie e voglia di fare. Per questo bisogna tenere uno stile di vita sano e attivo, che comprenda anche periodici controlli ed esami. A tal proposito, esistono anche polizze sanitarie, come UniSalute Famiglia, dedicata alla protezione della salute di tutta la famiglia, con programmi di check up in strutture sanitarie convenzionate con UniSalute e screening.

Avete mai valutato questa opportunità?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Invia commento

    Nessun commento