Come è nata l’EMDR
L’intuizione che portò a sviluppare la procedura oggi nota come EMDR si deve alla psicologa statunitense Francine Shapiro, che iniziò a studiare i movimenti oculari in rapporto alle emozioni negative nel 1987, durante il dottorato. Le considerazioni di base sono legate al modello AIP, Adaptive information processing, secondo il quale i ricordi positivi e negativi influenzano la salute mentale e psicologica. Le informazioni immagazzinate possono essere recuperate – si tratta del processo di apprendimento – ma quando l’esperienza vissuta è traumatica questo stesso meccanismo ne impedisce l’elaborazione. Le conseguenze possono essere disfunzioni e patologie.
Shapiro si accorse che i movimenti oculari da destra verso sinistra sembravano ridurre l’emozione negativa associata a ricordi angoscianti: lo sperimentò prima su se stessa, poi su altre persone, arrivando alla stessa conclusione. Nel corso degli anni, fu messa a punto una procedura standardizzata (l’EMDR, appunto) che consente il trattamento di molte psicopatologie, oltre al disturbo post-traumatico da stress, come la depressione, l’ansia, le fobie, le dipendenze.
Il disturbo post-traumatico da stress
Le persone che si trovano coinvolte in un evento traumatico, come un terremoto, o che vivono esperienze terribili come la guerra, possono subirne le conseguenze per lungo tempo. Oggi ci si riferisce a questo problema con il termine disturbo da stress post-traumatico (PTSD), un fenomeno studiato soprattutto dopo la Guerra del Vietnam del 1975, attraverso gli effetti che il conflitto ebbe sui soldati americani. I reduci, infatti, avevano grosse difficoltà a tornare alla vita di tutti i giorni, poiché rivivevano alcuni momenti del periodo bellico, come un attacco nemico o la morte dei compagni, con conseguenze devastanti a livello fisico e relazionale. Nel 1980 l’edizione aggiornata del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, testo di riferimento per psicologi e psichiatri, riportò per la prima volta il disturbo, che da quel momento in poi fu sempre più studiato e documentato.
Il disturbo da stress post-traumatico, tuttavia, non si manifesta solo in seguito a un evento così grave e totalizzante come una guerra, ma può colpire anche persone che hanno dovuto fronteggiare il lutto di un amico o di un familiare, che hanno assistito a un incidente, una sparatoria, una rapina in cui è stato ferito o ucciso qualcuno, oppure che hanno rischiato direttamente la vita.
Quali sono i sintomi del PTSD?
“Le persone che soffrono di disturbo da stress post-traumatico hanno sintomi che rientrano in diverse categorie”, precisa la psicologa. Si tratta di:
- intrusioni: rivivono ciò che ha generato il trauma, attraverso ricordi e sensazioni fisiche che compaiono improvvisamente. Possono esserci delle allucinazioni scatenate da stimoli visivi o uditivi, come forti rumori che fanno pensare a un’esplosione. Sono frequenti anche gli incubi.
- Evitamento: stanno alla larga da eventi e situazioni che potrebbero ricordare loro quanto accaduto. Spesso possono sembrare distaccati o freddi, incapaci di provare emozioni, a causa della mancata elaborazione del trauma. Molto spesso le persone provano un forte senso di colpa, per essere sopravvissuti o per non aver potuto salvare qualcuno.
- Alterazioni negative nella cognizione e nell’umore, come irritabilità, incapacità di controllare la rabbia, problemi di concentrazione e di memoria.
- Alterazioni nell’eccitazione e reattività: in un costante stato di allerta, chi soffre di PTSD spesso si sente ancora in pericolo e per controllare questa sensazione può ricorrere all’uso di alcol e droghe.
La diagnosi del disturbo è confermata quando un paziente manifesta almeno un sintomo di ogni categoria, per un periodo superiore a un mese da quando è stato esposto in modo diretto o indiretto al trauma.
L’EMDR nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress
L’EMDR ha ricevuto moltissime conferme scientifiche ed è riconosciuto come metodo evidence based per il trattamento dei disturbi post traumatici. Il Ministero della Salute lo ha approvato nel 2003.
L’obiettivo della procedura è “ripristinare il naturale processo di elaborazione delle informazioni”, inizia a spiegare la psicologa. “L’EMDR va ad agire sui ricordi che hanno origine quando avviene il trauma, che sono paragonabili a una lacerazione che non cicatrizza, e quindi non guarisce, provocando nella persona senso di disagio, di fastidio sia a livello emozionale che corporeo. Ciò accade anche a distanza di tempo, ma è possibile intervenire per accelerare la ‘guarigione’, attivando contemporaneamente il canale percettivo, cognitivo, emotivo e somatico, stimolando i movimenti oculari nel paziente attraverso l’EMDR”.
Cosa accade durante una seduta?
La procedura dell’EMDR è piuttosto complessa, dal momento che durante una seduta con il terapeuta si interviene sulla percezione del trauma, sulle emozioni che ha scatenato, ma anche a livello cognitivo e somatico, indagando sulle sensazioni fisiche. Esistono 8 fasi in cui si articola il protocollo:
- nella prima si effettua l’anamnesi e viene stabilito un piano terapeutico;
- nella seconda, il paziente è preparato al trattamento, attraverso la spiegazione di ciò che avverrà e di quali potranno essere le sue reazioni;
- nella terza fase si valuta e definisce il ricordo del trauma, prendendo in considerazioni le sensazioni e le emozioni che suscita;
- a questo punto il terapeuta chiede al paziente di seguire con lo sguardo i movimenti delle sue mani e a concentrarsi sul ricordo del trauma. I movimenti ritmici degli occhi verso destra e verso sinistra favoriscono il recupero del trauma che non è stato elaborato;
- il terapeuta continua la stimolazione, e la quinta fase corrisponde alla ristrutturazione cognitiva, che serve a modificare la percezione del ricordo per privarlo della connotazione fortemente negativa;
- nella sesta fase, il paziente è invitato ad analizzare la presenza di sensazioni fisiche legate al trauma, che si verificano quando ne parla o ci pensa;
- la settima fase consiste nel verificare l’efficacia dell’EMDR attraverso un diario tenuto dal paziente, per tenere traccia di cosa accade e se il ricordo o le sensazioni spiacevoli si manifestano ancora;
- alla fine del trattamento, a distanza di una settimana, il terapeuta controlla le condizioni di salute e l’eventuale comparsa di sintomi legati allo stress nel paziente, per valutare l’impatto della terapia.
“Attraverso questo protocollo strutturato, viene focalizzata in maniera più nitida l’immagine traumatica, vengono attivati pensieri negativi auto riferiti come senso di pericolo o sentimenti di colpa, così come le emozioni di rabbia e paura e le sensazioni fisiche. Questo tipo di terapia desensibilizza via via il ricordo, rendendolo così sempre meno invasivo e disturbante per la persona, che può così elaborare il trauma collocandolo nel passato a cui appartiene”, conclude la dottoressa Scalambra.
È importante affrontare i problemi di salute rivolgendosi al proprio medico di base e a degli specialisti che sappiano indirizzarci verso il percorso terapeutico più adatto alle nostre esigenze, sia che si tratti di disturbi fisici che psicologici. Sottovalutare un sintomo, di qualunque natura, è molto pericoloso, ma soprattutto può tenerci ancorati a uno stato di malessere che invece sarebbe superabile con l’aiuto di un professionista. Curare se stessi vuol dire anche avere più energie e voglia di fare. Per questo bisogna tenere uno stile di vita sano e attivo, che comprenda anche periodici controlli ed esami. A tal proposito, esistono anche polizze sanitarie, come UniSalute Famiglia, dedicata alla protezione della salute di tutta la famiglia, con programmi di check up in strutture sanitarie convenzionate con UniSalute e screening.
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